ELEZIONI COMUNALI DI SAN DONA’: APPELLO AI CANDIDATI SINDACO

APPELLO AI CANDIDATI SINDACO

La Camera Avvocati di San Donà ha lavorato in questi anni nel solco di una tradizione che la ha vista sempre difendere l’accesso alla giustizia di prossimità da parte dei nostri concittadini. In accordo con tutte le amministrazioni dei dieci comuni del mandamento, il nostro impegno ha sostenuto con successo la permanenza dell’ufficio del Giudice di pace sandonatese, da ultimo anche riportando in quegli stessi locali il servizio delle procedure di mediazione, che la legge rende necessarie per intraprendere molti processi civili, e che possono in qualche circostanza evitare il contenzioso.

Oggi, in continuità alla nostra storia, colgo l’opportunità che offrono i social-media in questa campagna elettorale per il Comune di San Donà di Piave, esprimendo l’invito ai Candidati a Sindaco ad accettare la richiesta, della Camera Avvocati di San Donà, di incontrare singolarmente una delegazione della più numerosa associazione di professionisti del nostro mandamento per discutere le nostre proposte, rivolte a dare tutela ai diritti dei cittadini e ad assicurare il rafforzamento del locale presidio di giustizia: le offriremo a ciascuno senza distinguo per lo schieramento di appartenenza, con quella volontà fattiva e sempre pronta al dialogo che ha contraddistinto la nostra esperienza quarantennale.

Come portavoce degli Avvocati della Camera sandonatese e del suo Direttivo, invito i Colleghi, candidati al Consiglio comunale o comunque attivi a sostegno delle varie liste, a supportare questa richiesta; allo stesso modo, prego tutti i Colleghi associati di condividere questo post, per dare testimonianza della presenza della classe forense.

In questi anni siamo riusciti a proteggere e garantire l’operatività degli uffici giudiziari sandonatesi, lavorando uniti e con coerente continuità: ora dovremo pensare a potenziarne le risorse, guardando alla prossima entrata in vigore dell’ampliamento delle competenze.

A partire dal 2021, l’ufficio del Giudice di pace acquisirà ambiti operativi paragonabili a quelli che erano già propri della precedente Pretura. Si tratta sia di una sfida che di un’occasione importante, ed entrambe non possono trovarci impreparati alle necessità del futuro.

Noi ci saremo e, per tutelare cittadini ed imprese, sarà importante lavorare fin da ora assieme, con la forza delle istituzioni al nostro fianco, per raggiungere il miglior risultato.

Vi ringrazio per l’attenzione.

 

Avv. Alberto Vigani

Presidente della Camera Avvocati di San Donà di Piave

COMPENSAZIONE DELLE SPESE IN SENTENZA

Corte Costituzionale: illegittima la compensazione delle spese nelle sole ipotesi previste per legge

 

SENTENZA N. 77

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

–           Giorgio                       LATTANZI                                       Presidente

–           Aldo                           CAROSI                                            Giudice

–           Marta                          CARTABIA                                              ”

–           Mario Rosario             MORELLI                                                 ”

–           Giancarlo                    CORAGGIO                                             ”

–           Silvana                        SCIARRA                                                 ”

–           Daria                           de PRETIS                                                ”

–           Nicolò                         ZANON                                                    ”

–           Franco                        MODUGNO                                             ”

–           Augusto Antonio       BARBERA                                               ”

–           Giulio                          PROSPERETTI                                         ”

–           Giovanni                     AMOROSO                                               ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile, come modificato dall’art. 13 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, promossi dal Tribunale ordinario di Torino in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 30 gennaio 2016 e dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 28 febbraio 2017, iscritte rispettivamente al n. 132 del registro ordinanze 2016 e al n. 86 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2016 e n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione di Antonio Benedetto, della REAR società cooperativa a rl, di Elvira Rasulova, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL);

udito nella udienza pubblica del 7 marzo 2018 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Alberto Piccinini e Amos Andreoni per Elvira Rasulova, Vincenzo Martino e Amos Andreoni per Antonio Benedetto, Giorgio Frus per la REAR società cooperativa a rl e l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Il Tribunale ordinario di Torino ed il Tribunale ordinario di Reggio Emilia, entrambi in funzione di giudice del lavoro, con le ordinanze rispettivamente del 30 gennaio 2016 e del 28 febbraio 2017, iscritte al n. 132 del 2016 e al n. 86 del 2017 del registro ordinanze, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile, nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162; disposizione questa che prevede che il giudice, se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti, può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero.

Le ordinanze fanno riferimento a plurimi parametri in parte coincidenti. Il Tribunale ordinario di Torino richiama gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 111, primo comma, della Costituzione; il Tribunale ordinario di Reggio Emilia deduce gli artt. 3, primo e secondo comma, 24, 25, primo comma, 102, 104 e 111 Cost., nonché gli artt. 21 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e gli artt. 6, 13 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questi ultimi come parametri interposti per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost.

Entrambi i giudici rimettenti incentrano i dubbi di legittimità costituzionale della disposizione censurata sulla mancata previsione, in caso di soccombenza totale, del potere del giudice di compensare le spese di lite tra le parti anche in casi ulteriori rispetto a quelli ivi previsti. Il solo Tribunale di Reggio Emilia deduce altresì la mancata considerazione del lavoratore ricorrente come parte “debole” del rapporto controverso al fine della regolamentazione delle spese processuali.

2.- In particolare, il Tribunale ordinario di Torino è investito del ricorso proposto da un socio lavoratore di una società cooperativa, con mansioni di addetto al controllo ingressi e alla viabilità, avente ad oggetto, in via principale, la domanda di ricalcolo retributivo in base ad un contratto collettivo diverso da quello applicato dalla datrice di lavoro, con conseguente richiesta di condanna della società resistente al pagamento delle relative differenze retributive; in via subordinata, il ricorso ha ad oggetto la domanda di condanna della società resistente al pagamento delle integrazioni contrattuali delle indennità legali di infortunio e malattia computate con riferimento al contratto collettivo applicato dalla società.

A fondamento della domanda il socio lavoratore ricorrente ha dedotto che la società aveva fatto applicazione di un contratto collettivo sottoscritto da organizzazioni datoriali e sindacali non sufficientemente rappresentative ed ha quindi chiesto l’applicazione, ai fini della verifica della congruità retributiva, di altro diverso contratto collettivo, già utilizzato in vertenze similari.

La società si è costituita ed ha chiesto il rigetto delle domande indicando, sempre ai fini del giudizio di congruità della retribuzione, quale termine di raffronto, un contratto collettivo ulteriormente diverso da quello invocato dal ricorrente. Quanto alla domanda subordinata, la resistente ha osservato che l’esclusione dell’integrazione contrattuale delle indennità legali di malattia e di infortunio aveva fatto seguito ad una delibera assembleare del 20 giugno 2011, approvata per garantire la sopravvivenza della società messa in stato di crisi, in conformità all’art. 6, comma 1, lettere d) ed e), della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore).

Ciò premesso, il rimettente, dopo aver disposto consulenza contabile, ha rigettato entrambe le domande con sentenza qualificata “non definitiva” e, con separata ordinanza, ha disposto la prosecuzione del giudizio per la definizione del regolamento delle spese di lite; all’esito di discussione orale ha sollevato, d’ufficio, questione di legittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo novellato dall’art. 13, comma 1, del citato d.l. n. 132 del 2014, quale convertito in legge.

Ad avviso del rimettente si configurerebbe la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza, in quanto sussisterebbe una sproporzione tra il fine perseguito – quello di «disincentivare l’abuso del processo» – e lo strumento normativo utilizzato, consistito nella «limitazione estrema ed oltre ogni misura delle ipotesi di compensazione» delle spese di lite. Mentre il testo, come modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), era già «del tutto sufficiente a scongiurare eventuali abusi, da parte del giudice, nell’uso dello strumento della compensazione contenendo essa già una regolamentazione del tutto rigorosa ed appropriata».

Il medesimo parametro sarebbe poi violato – secondo il giudice rimettente – sotto il profilo del principio di eguaglianza, avuto riguardo alle situazioni contemplate dalla norma raffrontate, quali tertia comparationis, con quelle escluse, di pari gravità ed eccezionalità, individuate dalla giurisprudenza di legittimità.

Il tribunale rimettente deduce altresì la violazione dell’art. 24, primo comma, Cost., in quanto la riduzione delle ipotesi di compensazione soltanto a due (oltre a quella tradizionale della soccombenza reciproca) «tende […] a scoraggiare in modo indebito l’esercizio dei diritti in sede giudiziaria, divenendo così uno strumento deflattivo (e punitivo) incongruo» nelle ipotesi in cui la condotta della parte, poi risultata soccombente, non integra casi di abuso del processo, ma sia improntata a correttezza, prudenza e buona fede.

Parimenti sarebbe violato l’art. 111, primo comma, Cost., sotto il profilo del principio del giusto processo, in quanto la disposizione censurata, consentendo la compensazione nei soli casi indicati, «limita il potere – dovere del giudice di rendere giustizia, anche in ordine al regolamento delle spese di lite, in modo appropriato al caso concreto».

3.- Nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale promosso dal Tribunale ordinario di Torino si sono costituite le parti del giudizio a quo, che hanno depositato memorie.

Il lavoratore socio ha aderito alle censure mosse dall’ordinanza di rimessione, ribadendo ciò con successiva memoria e concludendo per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.

La società resistente ha rilevato in via preliminare che la regolamentazione delle spese di lite non è suscettibile di autonomo distinto giudizio, richiamando a tal proposito l’ordinanza n. 314 del 2008 di questa Corte. Nel merito sottolinea come la disposizione censurata non costituisca uno «strumento punitivo incongruo», essendo ragionevole porre, di regola, i costi del processo a carico di colui che lo ha attivato con esito negativo, e limitare la possibile compensazione delle spese di lite ad ipotesi tassativamente previste, stante il carattere eccezionale delle medesime.

È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale. In particolare la difesa dell’interveniente afferma la ragionevolezza della individuazione da parte del legislatore, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità di cui egli gode in materia processuale, di ipotesi specifiche e tassative che giustifichino la compensazione delle spese di lite. Si tratterebbe di una scelta che non entra in collisione con i parametri costituzionali che il giudice rimettente assume essere violati e che integrerebbe il giusto mezzo per conseguire la finalità deflativa al fine di «disincentivare» l’abuso del processo.

È intervenuta ad adiuvandum la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), concludendo per l’ammissibilità dell’intervento e, nel merito, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della censurata disposizione.

4.- Il Tribunale ordinario di Reggio Emilia è investito di una controversia avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento, azionata mediante ricorso proposto ai sensi dell’art.1, commi 48 e seguenti, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita). Si tratta di una lavoratrice che ha impugnato il licenziamento intimatole in data 30 novembre 2015 dalla Italservizi srl (poi Agriservice MO srl in liquidazione) con decorrenza dal 31 dicembre 2015.

In particolare la lavoratrice ha agito nei confronti di numerosi convenuti (Burani Interfood spa, Servizi Commerciali Integrati srl, Agriservice MO srl e Burani Stefano Luigi personalmente ed in proprio), affermando l’esistenza «di un unico centro di imputazione giuridica o gruppo d’imprese e la contemporanea utilizzazione della prestazione lavorativa da parte di tutti i convenuti», sicché l’intervenuto licenziamento era da porre nel nulla nei confronti di ognuno dei soggetti chiamati in causa.

Si è costituita, tra le altre parti, la Burani Interfood spa, che ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso essendo intervenuta il 25 gennaio 2016 la revoca del licenziamento da parte della Agriservice MO srl (successivamente in liquidazione).

All’esito della prima fase del procedimento (a cognizione sommaria) il rimettente ha pronunciato un’ordinanza di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire della ricorrente per mancanza del licenziamento e, in merito alle spese di lite, ha condannato la lavoratrice al rimborso di quelle sostenute dalla attuale (almeno formalmente) datrice di lavoro Agriservice MO srl in liquidazione, mentre le ha compensate con riferimento alle altre parti convenute.

Nei confronti del capo dell’ordinanza relativo alla liquidazione delle spese della fase sommaria, la sola Burani Interfood spa ha proposto opposizione per la mancanza dei presupposti richiesti a tal fine dall’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. e per l’assenza di motivazione in merito alla disposta compensazione per le altre parti, censurando infine la disparità di trattamento rispetto alla Agriservice MO srl.

Nel giudizio di opposizione si è costituita la lavoratrice per contestare in fatto e in diritto l’opposizione e ha sollevato eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., evidenziando come un’interpretazione rigida di tale disposizione determinerebbe un’illegittima riduzione della discrezionalità del giudice nella valutazione degli elementi idonei a giustificare la compensazione delle spese di lite.

Anche il Tribunale ordinario di Reggio Emilia chiede alla Corte di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 162 del 2014, nella parte in cui – nelle cause di lavoro o di previdenza, nelle quali l’attore in primo grado è quasi sempre il lavoratore – non prevede il potere del giudice di valutare «i gravi ed eccezionali motivi» per compensare le spese di lite.

Ad avviso del rimettente si configurerebbe la violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, 24 e 111 Cost., in quanto la disposizione censurata «priva irragionevolmente il Giudice della essenziale funzione di giustizia, ovvero quella di adeguare la pronunzia alle peculiarità del modello processuale ed alle condizioni personali e circostanze concrete del caso di specie»; dà luogo alla manifesta violazione del principio di uguaglianza sostanziale «che esigerebbe un trattamento differenziato, ma di vantaggio, per il soggetto più debole e costretto ad agire giudizialmente» per vedere accertata l’illegittimità del provvedimento datoriale, trattandosi, di regola, di «controversie a “controprova”»; «esercita di fatto una gravissima limitazione del diritto all’effettività dell’accesso alla giustizia in danno del lavoratore», già gravato dagli oneri economici, non detraibili, del pagamento del contributo unificato, dell’anticipazione delle spese legali e dell’IVA; limita il diritto all’effettività dell’accesso alla giustizia «in termini di pesante “deterrenza” in modo proporzionalmente (e vieppiù irragionevolmente) maggiore per quanto minore sia la capacità economica del lavoratore»; colpisce, irragionevolmente, anche la parte incolpevole che non ha «abusato» del processo o che non ha invocato diritti, «che a priori, sapeva essere inesistenti».

Inoltre, sempre ad avviso del rimettente, sarebbero violati gli artt. 25, primo comma, 102 e 104 Cost., in quanto l’intervenuto d.l. n. 132 del 2014 costituirebbe un’ingerenza del potere legislativo su quello giudiziario comprimendo oltremodo la discrezionalità del giudice.

Il tribunale rimettente deduce poi la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 47 CDFUE che esige l’effettività del diritto d’azione e di accesso alla giustizia e l’equità del processo, «quest’ultima irragionevolmente lesa da una sanzione che colpisce una parte che non ha “responsabilità” processuale (nelle cause “a controprova”)»; nonché in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, in rapporto al «diritto all’equo processo» ed al diritto ad un «ricorso effettivo», in quanto la modifica dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. in chiave specificamente deflativa, rappresenta un mezzo sproporzionato rispetto allo scopo perseguito.

Altresì sarebbero violati gli artt. 14 CEDU e 21 CDFUE, in relazione al principio di non discriminazione, derivante dal divieto per il giudice di tener conto della condizione personale del lavoratore, «così pregiudicandone il diritto di azione proprio in ragione della limitata capacità economica, anche a prescindere da ragioni di “colpevolezza processuale”».

Il rimettente poi osserva che nel processo del lavoro sono frequenti le controversie cosiddette “a controprova”, nel senso che il lavoratore deve introdurle non disponendo di tutti i dati che incidono sulla legittimità, o meno, del provvedimento datoriale che egli ha già subito e di cui chiede al giudice il controllo di legittimità, da operare appunto all’esito dell’assolvimento della prova da parte del datore di lavoro convenuto in giudizio.

Con specifico riferimento alle controversie di lavoro, il rimettente deduce inoltre che il lavoratore, per introdurre la causa in primo grado, deve, di regola, sostenere l’onere del contributo unificato, l’anticipazione delle spese legali e spesso di quelle per conteggi, oltre all’IVA sulla prestazione dei professionisti; e tutti questi oneri, come pure quello eventuale delle spese di soccombenza, non sono detraibili. Al contrario, il datore, di regola, potrà recuperare l’IVA sulle prestazioni del difensore e detrarrà dal reddito la relativa parcella, come le spese di eventuale soccombenza.

In riferimento al principio di non discriminazione sancito nella CEDU, il rimettente osserva come la discriminazione vietata dall’art. 14 della Convenzione consista nel trattare in modo differente, salvo una giustificazione obiettiva e ragionevole, le persone che si trovano in situazioni simili o analoghe e che una distinzione è discriminatoria se non persegua uno scopo legittimo o se non sussiste un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo che si è prefissata.

Quanto alla rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo pone in rilievo che la lavoratrice, originaria ricorrente nel procedimento per l’impugnazione del licenziamento, è convenuta in opposizione, dalla società cui non è stato ritenuto riconducibile il licenziamento, per essere condannata alla rifusione delle spese processuali sia della prima fase (sommaria), sia di quella attuale di opposizione; il rimettente afferma che la vicenda riveste una peculiarità oggettiva tale da rendere difficile una ricostruzione in fatto degli avvenimenti, per i numerosi passaggi subiti dal lavoratore da una società all’altra nonché per la necessità di procedere alla ricostruzione delle trasformazioni e cessioni societarie avvenute, in forza delle quali le plurime aziende coinvolte, tra loro collegate di fatto o in diritto, hanno cambiato nome, assetto e composizione societaria, ceduto rami d’azienda ed effettuato altre intricate modifiche interne.

5.- Nel giudizio incidentale si è costituita la lavoratrice, depositando anche memoria, ed ha concluso per la fondatezza della questione.

È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale. La difesa dell’interveniente svolge sostanzialmente le medesime argomentazioni già prospettate nell’altro giudizio incidentale, deducendo, in particolare, che nell’ambito di controversie in materia di lavoro, dove una delle parti in causa potrebbe risultare economicamente svantaggiata rispetto all’altra, l’indicazione tassativa delle ipotesi in cui è possibile procedere alla compensazione delle spese di lite non determina un effetto preclusivo del ricorso alla tutela giurisdizionale.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 30 gennaio 2016, iscritta al n. 132 del registro ordinanze 2016, il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile, nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non consente, in caso di soccombenza totale, la compensazione delle spese di lite anche in altre ipotesi di gravi ed eccezionali ragioni, analoghe a quelle indicate in modo tassativo dalla disposizione stessa, ossia l’«assoluta novità della questione trattata» e il «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti».

La questione è stata sollevata nel corso di un giudizio civile promosso da un socio lavoratore di una società cooperativa, per ottenere la condanna di quest’ultima al pagamento di differenze di compenso per l’attività svolta calcolate sulla base delle tariffe del contratto collettivo ritenute applicabili ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore), e dell’art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2008, n. 31. In via subordinata lo stesso ricorrente aveva chiesto il riconoscimento di un’integrazione contrattuale delle indennità previste in caso di infortunio e di malattia.

Il tribunale, pronunciandosi nell’instaurato contraddittorio delle parti, ha rigettato, con sentenza qualificata “non definitiva”, sia la domanda principale che quella subordinata, ed ha disposto la prosecuzione del giudizio per la definizione della questione residua, concernente il regolamento delle spese di lite. In tale sede, ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., con riferimento ai parametri suddetti ritenendo che la limitazione a due sole ipotesi tassative della possibilità per il giudice di compensare le spese di lite in caso di soccombenza totale sia contraria al principio di ragionevolezza e di eguaglianza, nonché a quello del giusto processo e comporti un’eccessiva remora a far valere i propri diritti in giudizio.

Secondo il tribunale rimettente, nella specie, l’esito della lite, sfavorevole al lavoratore, è dipeso da elementi di fatto nuovi, non previsti né prevedibili: da una parte una contrattazione collettiva utilizzata parametricamente dal consulente tecnico d’ufficio per calcolare le rivendicate differenze retributive, la quale era diversa sia da quella applicata dalla società, sia da quella allegata dal lavoratore a sostegno della sua pretesa; d’altra parte una non conosciuta delibera della società che aveva (legittimamente) sospeso l’erogazione del trattamento integrativo di malattia e di infortunio, parimenti rivendicato dal lavoratore.

2.- Con ordinanza del 28 febbraio 2017, iscritta al n. 86 del registro ordinanze 2017, il Tribunale ordinario di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato analoghe questioni di legittimità costituzionale della medesima disposizione, per contrasto con gli artt. 3, primo e secondo comma; 24; 25, primo comma; 102; 104 e 111 Cost.; nonché degli artt. 21 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e degli artt. 6, 13 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questi ultimi come parametri interposti per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost.

La questione è stata sollevata nel corso di una controversia di lavoro avente ad oggetto l’impugnativa di un licenziamento, promossa con il rito di cui all’art. 1, comma 48, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), da una lavoratrice nei confronti non solo della società che aveva intimato il licenziamento, ma anche di altre società, sull’asserito presupposto di un unico centro di imputazione giuridica del rapporto di lavoro, stante la contemporanea utilizzazione della prestazione lavorativa da parte di tutte le società convenute. La fase sommaria si concludeva con un’ordinanza di inammissibilità del ricorso per essere stato il licenziamento revocato. Quanto alle spese di lite il tribunale condannava la lavoratrice al pagamento delle spese nei confronti della società che aveva formalmente intimato – e poi revocato – il licenziamento; invece le compensava tra la lavoratrice e le altre società convenute in giudizio. Avverso questa ordinanza proponeva opposizione una sola di queste ultime società, dolendosi della compensazione delle spese di lite e chiedendo la condanna della lavoratrice, originaria ricorrente, al pagamento delle stesse. Quest’ultima ha resistito all’opposizione eccependo, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.; eccezione che il giudice dell’opposizione ha accolto promuovendo l’incidente di legittimità costituzionale con riferimento ai parametri sopra indicati e muovendo censure analoghe a quelle del Tribunale di Torino, nonché lamentando che non venga in rilievo la posizione del lavoratore quale parte “debole” del rapporto controverso.

Secondo il tribunale rimettente l’utilizzazione delle prestazioni lavorative da parte non solo della società datrice di lavoro, ma anche di altre società, aveva creato l’apparenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro con conseguente grave incertezza in ordine a chi fosse il reale datore; sicché non ingiustificata appariva l’evocazione in giudizio delle varie società interessate.

3.– Le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale ordinario di Torino e dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia, sono in larga parte sovrapponibili e quindi si rende opportuna la loro trattazione congiunta mediante riunione dei giudizi.

4.– Va preliminarmente considerato che nel giudizio di legittimità costituzionale originato dall’ordinanza di rimessione del giudice del lavoro di Torino è intervenuta ad adiuvandum la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), aderendo alle argomentazioni contenute nell’ordinanza di rimessione e chiedendo l’accoglimento della prospettata questione di legittimità costituzionale.

L’Avvocatura generale dello Stato e la difesa della società costituita hanno eccepito l’inammissibilità di tale intervento.

L’intervento è inammissibile.

La costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, le ordinanze allegate alle sentenze n. 16 del 2017, n. 237 e n. 82 del 2013, n. 272 del 2012, n. 349 del 2007, n. 279 del 2006 e n. 291 del 2001) è nel senso che la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale).

A tale disciplina è possibile derogare – senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio di costituzionalità – soltanto a favore di soggetti terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura. Pertanto, l’incidenza sulla posizione soggettiva dell’interveniente deve derivare non già, come per tutte le altre situazioni sostanziali disciplinate dalla disposizione denunciata, dalla pronuncia della Corte sulla legittimità costituzionale della legge stessa, ma dall’immediato effetto che la pronuncia della Corte produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo.

Nella specie – essendo la CGIL titolare non di un interesse direttamente riconducibile all’oggetto del giudizio principale, bensì di un mero indiretto, e più generale, interesse connesso agli scopi statutari della tutela degli interessi economici e professionali degli iscritti – il suo intervento in questo giudizio deve essere dichiarato inammissibile.

5.– Ancora in via preliminare l’Avvocatura generale dello Stato ha sollevato eccezione di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per mancata interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.

L’eccezione non è fondata.

Entrambi i giudici rimettenti hanno, con motivazione plausibile, escluso la possibilità di interpretazione adeguatrice della disposizione censurata osservando che il recente ripetuto intervento del legislatore sulla disposizione censurata, di cui si dirà oltre, mostra chiaramente che si è inteso restringere sempre più la discrezionalità del giudice della controversia fino a definire le sole ipotesi che facoltizzano il giudice, in caso di soccombenza totale, a compensare, in tutto o in parte, le spese di lite; ipotesi che quindi sono tassative: la soccombenza reciproca ovvero l’assoluta novità della questione trattata o il mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. Non è possibile pertanto estendere in via interpretativa tale facoltà del giudice ad altre ipotesi che parimenti consentano la compensazione delle spese di lite.

Tanto è sufficiente per ritenere l’ammissibilità della questione, anche in ragione della più recente giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che, se è vero che le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime «perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne)», ciò però non significa che «ove sia improbabile o difficile prospettarne un’interpretazione costituzionalmente orientata, la questione non debba essere scrutinata nel merito» (sentenza n. 42 del 2017; nello stesso senso, sentenza n. 83 del 2017).

6.- L’Avvocatura generale dello Stato ha inoltre eccepito l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per insufficiente descrizione della fattispecie.

L’eccezione non è fondata.

Entrambi i giudici rimettenti hanno descritto in dettaglio la fattispecie al loro esame nei termini sopra riportati ed hanno chiaramente evidenziato la necessità di applicare nei giudizi a quibus la disposizione censurata in ordine alla quale hanno motivatamente argomentato i loro dubbi di legittimità costituzionale.

Le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono quindi ammissibili, sotto l’indicato profilo, e sussiste altresì la loro rilevanza.

7.- C’è poi un ulteriore, più delicato, profilo di ammissibilità concernente le questioni oggetto dell’ordinanza di rimessione del Tribunale ordinario di Torino, che – come già rilevato – ha deciso con sentenza, qualificata “non definitiva”, tutto il merito della causa ed ha riservato solo la decisione sulle spese di lite, in riferimento alla quale, con distinta ordinanza, ha posto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.

Deve rilevarsi al riguardo che questa Corte nell’ordinanza n. 395 del 2004 ha affermato che la regolamentazione delle spese, in quanto accessoria alla decisione di merito, non è suscettibile di un autonomo giudizio.

La citata ordinanza ha riguardato una situazione analoga: quella di un giudice rimettente (di primo grado) che, nel censurare il medesimo art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., aveva parimenti deciso, con sentenza, il merito della causa disponendo con ordinanza la sospensione del processo limitatamente alla pronuncia accessoria sulle spese legali, perché, ritenendo di dover fare uso della facoltà di compensarle, ai sensi della citata disposizione nel testo originario, dubitava della legittimità costituzionale di tale norma, «così come interpretata dalla giurisprudenza pressoché univoca e costante della Suprema Corte», secondo cui non vi era alcun obbligo di motivare il capo della sentenza col quale fosse disposta la compensazione delle spese «per giusti motivi», trattandosi di statuizione discrezionale, assistita da una presunzione di conformità a diritto.

Questa Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, affermando che «il “diritto vivente” in questione […] si risolve in una regola – insindacabilità della compensazione delle spese non motivata – della quale è diretto destinatario il giudice dell’impugnazione, e solo indirettamente il giudice munito del potere (discrezionale) di disporre la compensazione delle spese del giudizio da lui definito». Sicché il canone dell’insindacabilità della motivazione della compensazione delle spese di lite, all’epoca ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità, costituiva regola di giudizio per il giudice dell’impugnazione, legittimato in ipotesi a sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale, ma non già per un giudice di primo grado, quale era il giudice rimettente. Da ciò, l’inammissibilità manifesta della questione di legittimità costituzionale.

La Corte però ha poi aggiunto – seppur senza che ciò costituisse, o concorresse a costituire, la ratio decidendi della pronuncia di inammissibilità – che il giudice rimettente comunque «aveva consumato il suo potere decisorio». In ragione di ciò si potrebbe ora sostenere che anche il Tribunale ordinario di Torino abbia esaurito il suo potere decisorio dopo essersi pronunciato su tutto il merito della causa, di talché la questione di legittimità costituzione sarebbe, sotto tale profilo, inammissibile.

8.- In realtà, la questione è ammissibile anche sotto questo profilo.

Nel processo civile una sentenza non definitiva è possibile allorché il giudice di primo grado – qual è il rimettente Tribunale ordinario di Torino ? limiti la sua decisione alla questione di giurisdizione, o a questioni pregiudiziali o preliminari di merito, o anche solo ad alcune questioni di merito impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa (art. 279, secondo comma, cod. proc. civ.). Il giudice infatti può limitare la decisione ad alcune domande, se riconosce che per esse soltanto non sia necessaria un’ulteriore istruzione e sempre che la loro «sollecita definizione» sia di «interesse apprezzabile» per la parte che ne abbia fatto istanza (art. 277, secondo comma, cod. proc. civ.).

Ma se il giudice decide totalmente il merito della causa, accogliendo o rigettando tutte le domande, emette una sentenza definitiva, alla quale si accompagna la pronuncia sulle spese di lite, che – come già rilevato da questa Corte (nell’ordinanza n. 314 del 2008, richiamata dalla difesa della società costituita) – ha «natura accessoria» rispetto alla decisione sul merito. Non di meno però la decisione sulle spese di lite ha una sua distinta autonomia nella misura in cui è possibile l’impugnativa di questo solo capo della sentenza definitiva sicché, in tale evenienza, il giudizio di impugnazione è destinato ad avere ad oggetto la sola regolamentazione delle spese di lite.

Questo legame di accessorietà della pronuncia sulle spese alla sentenza che decida tutte le questioni di merito non è quindi indissolubile e, in particolare, è recessivo allorché il giudice – come il Tribunale ordinario di Torino – abbia un dubbio non manifestamente infondato in ordine soltanto alla disposizione che governa le spese di lite e di cui egli debba fare applicazione.

Il principio della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), coniugato con il favor per l’incidente di legittimità costituzionale ? il quale preclude che alcun giudice possa fare applicazione di una disposizione di legge della cui legittimità costituzionale dubiti – suggerisce che non sia ritardata la decisione del merito della causa rispondendo ciò all’«interesse apprezzabile» delle parti alla «sollecita definizione» di quanto possa essere deciso senza fare applicazione della disposizione indubbiata (ex art. 277, secondo comma, citato). Del resto, come argomento a fortiori, può richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto, al fine dell’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, che il potere decisorio del giudice rimettente non venga meno neppure quando egli abbia, al contempo, adottato la misura cautelare richiesta da una parte e, con separato provvedimento, abbia sospeso il giudizio cautelare investendo questa Corte con incidente di legittimità costituzionale proprio sulla disposizione di cui abbia fatto applicazione provvisoria e temporanea (ex plurimis, sentenze n. 83 del 2013, n. 236 del 2010, n. 351 e n. 161 del 2008; ordinanza n. 25 del 2006).

Si ha quindi che, nella specie, non erroneamente il Tribunale ordinario di Torino non ha sacrificato l’interesse delle parti alla sollecita decisione del merito – segnatamente, di tutto il merito – della causa ed ha legittimamente limitato la sospensione del giudizio, obbligatoria ex art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), a quanto strettamente necessario per la decisione della questione di legittimità costituzionale.

La pur imprecisa qualificazione, ad opera dello stesso tribunale, della sentenza che ha deciso tutto il merito della causa, come pronuncia “non definitiva” anziché “definitiva” ex art. 279 cod. proc. civ., rileva al fine non già dell’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, ma del regime dell’impugnazione di tale pronuncia quanto alla possibilità, o no, della riserva facoltativa d’appello ex art. 340 cod. proc. civ.

9.- Nel merito la questione, sollevata congiuntamente dal Tribunale ordinario di Torino e dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia, è fondata.

10.– La regolamentazione delle spese processuali nel giudizio civile risponde alla regola generale victus victori fissata dall’art. 91, primo comma, cod. proc. civ. nella parte in cui – ripetendo l’analoga prescrizione dell’art. 370, primo comma, del codice di procedura civile del 1865 – prevede che «il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa». Quindi la soccombenza si accompagna, di norma, alla condanna al pagamento delle spese di lite. L’alea del processo grava sulla parte soccombente perché è quella che ha dato causa alla lite non riconoscendo, o contrastando, il diritto della parte vittoriosa ovvero azionando una pretesa rivelatasi insussistente. È giusto, secondo un principio di responsabilità, che chi è risultato essere nel torto si faccia carico, di norma, anche delle spese di lite, delle quali invece debba essere ristorata la parte vittoriosa. Questa Corte ha in proposito affermato che «il costo del processo deve essere sopportato da chi ha reso necessaria l’attività del giudice ed ha occasionato le spese del suo svolgimento» (sentenza n. 135 del 1987).

La regolamentazione delle spese di lite è processualmente accessoria alla pronuncia del giudice che la definisce in quanto tale ed è anche funzionalmente servente rispetto alla realizzazione della tutela giurisdizionale come diritto costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.). Il «normale complemento» dell’accoglimento della domanda – ha affermato questa Corte (sentenza n. 303 del 1986) – è costituito proprio dalla liquidazione delle spese e delle competenze in favore della parte vittoriosa.

Ma non è una regola assoluta proprio in ragione del carattere accessorio della pronuncia sulle spese di lite, come emerge dalla giurisprudenza di questa Corte che ha esaminato un’ipotesi di contenzioso – il processo tributario prima della riforma del 1992 – in cui non era affatto prevista la regolamentazione delle spese di lite sì che la parte soccombente non ne sopportava l’onere e la parte vittoriosa non ne era ristorata. Ha infatti affermato questa Corte (sentenza n. 196 del 1982) che «l’istituto della condanna del soccombente nel pagamento delle spese ha bensì carattere generale, ma non è assoluto e inderogabile»: come è consentito al giudice di compensare tra le parti le spese di lite ricorrendo le condizioni di cui al secondo comma dell’art. 92 cod. proc. civ. (disposizione attualmente censurata), così rientra nella discrezionalità del legislatore modulare l’applicazione della regola generale secondo cui alla soccombenza nella causa si accompagna la condanna al pagamento delle spese di lite. Analogamente, con riferimento al giudizio di opposizione a sanzioni amministrative, questa Corte (ordinanza n. 117 del 1999) ha ribadito che «l’istituto della condanna del soccombente al pagamento delle spese di giudizio, pur avendo carattere generale, non ha portata assoluta ed inderogabile, potendosene profilare la derogabilità sia su iniziativa del giudice del singolo processo, quando ricorrano giusti motivi ex art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., sia per previsione di legge – con riguardo al tipo di procedimento – in presenza di elementi che giustifichino la diversificazione dalla regola generale». Parimenti è stata ritenuta non illegittima una regola di settore che, all’opposto, escludeva in ogni caso la compensazione delle spese di lite in ipotesi di accoglimento della domanda di risarcimento del danno esercitata nel processo penale dalla parte offesa costituitasi parte civile nel regime precedente la riforma del codice di procedura penale del 1987 (sentenza n. 222 del 1985).

Ampia quindi è la discrezionalità di cui gode il legislatore nel dettare norme processuali (ex plurimis, sentenze n. 270 del 2012, n. 446 del 2007 e n. 158 del 2003) e segnatamente nel regolamentare le spese di lite. Sicché è ben possibile – ha affermato questa Corte (sentenza n. 157 del 2014) – «una deroga all’istituto della condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, in presenza di elementi che la giustifichino (sentenze n. 270 del 2012 e n. 196 del 1982), non essendo, quindi, indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese (sentenza n. 117 del 1999)».

11.- Muovendo da questa affermata possibile derogabilità della regola che prescrive la condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, vanno ora esaminate le censure mosse alla disposizione indubbiata dai giudici rimettenti, che sono centrate proprio sulle possibili deroghe a tale regola. Le quali, da epoca risalente e per lungo tempo, sono state affidate ad una clausola generale che chiamava in gioco la discrezionalità del giudice al momento della decisione della causa. Disponeva infatti il secondo comma dell’art. 370 cod. proc. civ. del 1865: «Quando concorrono motivi giusti, le spese possono dichiararsi compensate in tutto o in parte». Il secondo comma dell’art. 92 cod. proc. civ. del 1940 ha ripetuto la stessa norma derogatoria: «Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti». Nella relazione al Guardasigilli per la redazione del nuovo codice di procedura civile si espresse l’opzione di dare continuità all’analoga disposizione del codice di rito del 1865 e, con riferimento alla facoltà demandata al giudice di compensare le spese di lite, oltre al caso di soccombenza parziale, anche quando ricorressero «motivi giusti» – che, con mera inversione testuale sarebbero diventati «giusti motivi» – si evidenziò che «tale regola […] risponde ad un evidente criterio di giustizia», ritenendo non «attendibili» alcune osservazioni in senso critico rivolte da una parte della dottrina contro questa clausola generale, la quale affidava tale criterio derogatorio, nel momento della decisione della lite, al prudente apprezzamento del giudice, che era quello che meglio conosceva le peculiarità della causa.

La norma espressa dal secondo comma dell’art. 92 cod. proc. civ., attualmente oggetto delle censure di illegittimità costituzionale, è rimasta per lungo tempo invariata anche in occasioni di profonde riforme del codice di rito, quale quella del 1950 apportata con la legge 14 luglio 1950, n. 581 (Ratifica del decreto legislativo 5 maggio 1948, n. 483, contenente modificazioni e aggiunte al Codice di procedura civile) e quella del 1990 introdotta con la legge 26 novembre 1990, n. 353 (Provvedimenti urgenti per il processo civile); ma non è rimasta immune da critiche di parte della dottrina. Ed in effetti, già nella vigenza dell’art. 370 cod. proc. civ. del 1865, un’autorevole dottrina del tempo aveva denunciato l’abuso nella pratica della compensazione per i motivi più vari.

Il punctum dolens era la motivazione dei «giusti motivi» che facoltizzavano il giudice a compensare, totalmente o parzialmente, le spese di lite anche in caso di soccombenza totale. Il principio di diritto, che era stato alla fine fissato in una tralaticia massima di giurisprudenza, affermava che la valutazione dei «giusti motivi» per la compensazione, totale o parziale, delle spese processuali rientrava nei poteri discrezionali del giudice di merito e non richiedeva specifica motivazione, restando perciò incensurabile in sede di legittimità, salvo che risultasse violata la regola secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (argumenta, ex plurimis, da Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 15 luglio 2005, n. 14989).

Sempre più però si poneva in discussione questo orientamento giurisprudenziale fino al radicarsi di un vero e proprio contrasto, poi composto dalle sezioni unite della Corte di cassazione, che operarono una significativa correzione di rotta affermando che la decisione di compensazione, totale o parziale, delle spese di lite per «giusti motivi» dovesse comunque dare conto della relativa statuizione mediante argomenti specificamente riferiti a questa ovvero attraverso rilievi che, sebbene riguardanti la definizione del merito, si risolvano in considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare tale compensazione delle spese (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 30 luglio 2008, n. 20598).

12.- Intanto il legislatore era intervenuto ed aveva modificato, dopo quasi centocinquant’anni, la norma in questione confermando sì la clausola generale dei «giusti motivi», quale presupposto della compensazione delle spese di lite, ma richiedendo che questi fossero «esplicitamente indicati nella motivazione» (art. 2, comma 1, della legge 28 dicembre 2005, n. 263, recante «Interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, nonché ulteriori modifiche al codice di procedura civile e alle relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, e disposizioni in tema di diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato»).

La prescrizione dell’espressa indicazione dei «giusti motivi» nella motivazione della decisione del giudice sulle spese di lite non apparve però ancora sufficiente a contrastare una tendenza, esistente nella prassi, al frequente ricorso da parte del giudice alla facoltà di compensare le spese di lite anche in caso di soccombenza totale. Il legislatore è quindi intervenuto una seconda volta proprio sulla clausola generale accentuandone, in chiave limitativa, il carattere derogatorio rispetto alla regola generale che vuole che alla soccombenza totale segua anche la condanna al pagamento delle spese di lite. L’art. 45, comma 11, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), ha così riformulato il secondo comma dell’art. 92: «Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti».

I «giusti motivi» sono diventati le «gravi ed eccezionali ragioni»: ciò significava che il perimetro della clausola generale si era ridotto, ritenendo il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità – che si è già rilevato essere ampia, secondo la giurisprudenza di questa Corte – che una più estesa applicazione della regola di porre a carico del soccombente totale le spese di lite rafforzasse il principio di responsabilità di chi promuoveva una lite, o resisteva in giudizio, con conseguente effetto deflativo sul contenzioso civile.

13.- Al fondo di questo contesto riformatore è la consapevolezza, sempre più avvertita, che, a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera.

Da ciò l’adozione, in epoca recente, di istituti processuali diretti, in chiave preventiva, a favorire la composizione della lite in altro modo, quali le misure di ADR (Alternative Dispute Resolution), cui sono riconducibili le procedure di mediazione, la negoziazione assistita, il trasferimento della lite alla sede arbitrale. Nella stessa linea è la previsione in generale, nel codice di rito (art. 185-bis cod. proc. civ.), di un momento processuale che vede la formulazione della proposta di conciliazione ad opera del giudice, introdotta in generale dall’art. 77, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, generalizzando quanto era già stato stabilito, qualche anno prima, per le controversie di lavoro attraverso la modifica dell’art. 420, primo comma, cod. proc. civ., introdotta dall’art. 31, comma 4, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro).

Per altro verso, quando non di meno la lite arriva all’esito finale della decisione giudiziaria, appare giustificato che l’alea del processo debba allora gravare sulla parte totalmente soccombente secondo una più stretta regola generale, limitando alla ricorrenza di «gravi e eccezionali ragioni» la facoltà per il giudice di compensare le spese di lite.

Questo raggiunto equilibrio è stato però alterato da un’ulteriore, più recente, modifica del censurato secondo comma dell’art. 92 cod. proc. civ.

14.- Da ultimo infatti, sull’abbrivio riformatore cominciato nel 2005, il legislatore, nel 2014, è andato ancora oltre ed ha ristretto ulteriormente il perimetro della deroga alla regola che vuole che le spese di lite gravino sulla parte totalmente soccombente: non più la clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni», ma due ipotesi nominate (oltre quella della soccombenza reciproca che non è mai mutata), ossia l’assoluta novità della questione trattata ed il mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.

Così ha disposto, da ultimo, l’art. 13, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 162 del 2014 (norma che, per espressa previsione dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge citato, si applica ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della relativa legge di conversione, avvenuta l’11 novembre 2014). Si legge nella Relazione al disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge n. 132 del 2014: «Nonostante le modifiche restrittive introdotte negli ultimi anni, nella pratica applicativa si continua a fare larghissimo uso del potere discrezionale di compensazione delle spese processuali, con conseguente incentivo alla lite, posto che la soccombenza perde un suo naturale e rilevante costo, con pari danno per la parte che risulti aver avuto ragione».

Questo più recente sviluppo normativo, che ha portato alla formulazione della disposizione censurata, mostra chiaramente che il legislatore ha voluto far riferimento a due ipotesi tassative, oltre quella della soccombenza reciproca, rimasta invariata nel tempo, come correttamente ritengono entrambi i giudici rimettenti.

15.- Però la rigidità di queste due sole ipotesi tassative, violando il principio di ragionevolezza e di eguaglianza, ha lasciato fuori altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa.

La prevista ipotesi del mutamento della giurisprudenza su una questione dirimente è connotata dal fatto che, in sostanza, risulta modificato, in corso di causa, il quadro di riferimento della controversia. Questa evenienza sopravvenuta – che concerne prevalentemente la giurisprudenza di legittimità, ma che, in mancanza, può anche riguardare la giurisprudenza di merito – non è di certo nella disponibilità delle parti, le quali si trovano a doversi confrontare con un nuovo principio di diritto, sì che, nei casi di non prevedibile overruling, l’affidamento di chi abbia regolato la propria condotta processuale tenendo conto dell’orientamento poi disatteso e superato, è nondimeno tutelato a determinate condizioni, precisate in una nota pronuncia delle sezioni unite civili della Corte di cassazione (sentenza 11 luglio 2011, n. 15144).

Il fondamento sotteso a siffatta ipotesi – che, ove anche non prevista espressamente, avrebbe potuto ricavarsi per sussunzione dalla clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni» – sta appunto nel sopravvenuto mutamento del quadro di riferimento della causa che altera i termini della lite senza che ciò sia ascrivibile alla condotta processuale delle parti. Ma tale ratio può rinvenirsi anche in altre analoghe fattispecie di sopravvenuto mutamento dei termini della controversia senza che nulla possa addebitarsi alle parti: tra le più evidenti, una norma di interpretazione autentica o più in generale uno ius superveniens, soprattutto se nella forma di norma con efficacia retroattiva; o una pronuncia di questa Corte, in particolare se di illegittimità costituzionale; o una decisione di una Corte europea; o una nuova regolamentazione nel diritto dell’Unione europea; o altre analoghe sopravvenienze. Le quali tutte, ove concernenti una “questione dirimente” al fine della decisione della controversia, sono connotate da pari “gravità” ed “eccezionalità”, ma non sono iscrivibili in un rigido catalogo di ipotesi nominate: necessariamente debbono essere rimesse alla prudente valutazione del giudice della controversia.

Ciò può predicarsi anche per l’altra ipotesi prevista dalla disposizione censurata – l’assoluta novità della questione – che è riconducibile, più in generale, ad una situazione di oggettiva e marcata incertezza, non orientata dalla giurisprudenza. In simmetria è possibile ipotizzare altre analoghe situazioni di assoluta incertezza, in diritto o in fatto, della lite, parimenti riconducibili a «gravi ed eccezionali ragioni».

Del resto la stessa ipotesi della soccombenza reciproca, che, concorrendo con quelle espressamente nominate dalla disposizione censurata, parimenti facoltizza il giudice della controversia a compensare le spese di lite, rappresenta un criterio nient’affatto rigido, ma implica una qualche discrezionalità del giudice che è chiamato ad apprezzare la misura in cui ciascuna parte è al contempo vittoriosa e soccombente, tanto più che la giurisprudenza di legittimità si va orientando nel ritenere integrata l’ipotesi di soccombenza reciproca anche in caso di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 22 febbraio 2016, n. 3438).

Si ha quindi che contrasta con il principio di ragionevolezza e con quello di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) aver il legislatore del 2014 tenuto fuori dalle fattispecie nominate, che facoltizzano il giudice a compensare le spese di lite in caso di soccombenza totale, le analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e a quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità di quelle tipiche espressamente previste dalla disposizione censurata. La rigidità di tale tassatività ridonda anche in violazione del canone del giusto processo (art. 111, primo comma, Cost.) e del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, primo comma, Cost.) perché la prospettiva della condanna al pagamento delle spese di lite anche in qualsiasi situazione del tutto imprevista ed imprevedibile per la parte che agisce o resiste in giudizio può costituire una remora ingiustificata a far valere i propri diritti.

16.- Per la riconduzione a legittimità della disposizione censurata può anche considerarsi che più recentemente lo stesso legislatore, in linea di continuità con l’azione riformatrice degli ultimi anni, è ritornato alla tecnica normativa della clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni». Infatti, dopo l’introduzione della disposizione attualmente censurata, il legislatore ha novellato alcune norme del processo tributario. In particolare l’art. 9, comma 1, lettera f), numero 2), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6 e 10, comma 1, lettere a e b, della legge 11 marzo 2014, n. 23), ha sostituito gli originari commi 2 e 2-bis dell’art. 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega governativa nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991 n. 413) ed ha, tra l’altro, previsto che le spese del giudizio possono essere compensate in tutto o in parte, oltre che in caso di soccombenza reciproca, anche «qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni» che devono essere espressamente motivate.

Ciò orienta la pronuncia di illegittimità costituzionale che si va a rendere nel senso che parimenti le ipotesi illegittimamente non considerate dalla disposizione censurata possono identificarsi in quelle che siano riconducibili a tale clausola generale e che siano analoghe a quelle tipizzate nominativamente nella norma, nel senso che devono essere di pari, o maggiore, gravità ed eccezionalità. Le quali ultime quindi – l’«assoluta novità della questione trattata» ed il «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti» – hanno carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale.

Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. nella parte in cui non prevede che il giudice, in caso di soccombenza totale, possa non di meno compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.

L’obbligo di motivazione della decisione di compensare le spese di lite, vuoi nelle due ipotesi nominate, vuoi ove ricorrano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, discende dalla generale prescrizione dell’art. 111, sesto comma, Cost., che vuole che tutti i provvedimenti giurisdizionali siano motivati.

17.- L’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 111, primo comma, Cost. – indicati da entrambe le ordinanze di rimessione – comporta l’assorbimento della questione in riferimento agli ulteriori plurimi parametri indicati nella sola ordinanza del Tribunale ordinario di Reggio Emilia (artt. 25, primo comma; 102 e 104 Cost.; nonché, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., l’art. 47 CDFUE e gli artt. 6 e 13 CEDU) perché tutti orientati ad ottenere la medesima dichiarazione di illegittimità costituzionale.

Residua però il particolare profilo di censura che fa riferimento alla posizione del lavoratore come parte “debole” del rapporto controverso; censura che costituisce autonoma e distinta questione, ridimensionata ma non del tutto assorbita dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.

Il Tribunale ordinario di Reggio Emilia evidenzia la posizione di maggior debolezza del lavoratore nel contenzioso di lavoro e chiede che la disposizione censurata sia ricondotta a legittimità introducendo un’ulteriore ragione di compensazione delle spese di lite che tenga conto della natura del rapporto giuridico dedotto in causa – ossia del rapporto di lavoro subordinato – e della condizione soggettiva della parte attrice quando è il lavoratore che agisce nei confronti del datore di lavoro.

La questione è posta con riferimento al principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost., che esigerebbe – secondo il giudice rimettente – un trattamento differenziato, ma di vantaggio, per il lavoratore in quanto soggetto più “debole”, costretto ad agire giudizialmente, mentre il censurato art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. avrebbe in concreto l’effetto opposto.

Sarebbero altresì violati, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., anche gli artt. 14 CEDU e 21 CDFUE, in punto di discriminazione fondata, rispettivamente, «sulla ricchezza» o su «ogni altra condizione» (art. 14 CEDU) o sul «patrimonio» (art. 21 CDFUE).

18.- La questione non è fondata.

Rileva in proposito da una parte il generale canone della par condicio processuale previsto dal secondo comma dell’art. 111 Cost. secondo cui «[o]gni processo si svolge […] tra le parti, in condizioni di parità». Per altro verso la situazione di disparità in cui, in concreto, venga a trovarsi la parte “debole” – ossia quella per la quale possa essere maggiormente gravoso il costo del processo, anche in termini di rischio di condanna al pagamento delle spese processuali, sì da costituire un’indiretta remora ad agire o resistere in giudizio – trova un possibile riequilibrio, secondo il disposto del terzo comma dell’art. 24 Cost., in «appositi istituti» diretti ad assicurare «ai non abbienti […] i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione».

Nel binario segnato da questi due concorrenti principi costituzionali si colloca la disposizione censurata che, non considerando la situazione soggettiva, nel rapporto controverso, della parte totalmente soccombente, è ispirata al principio generale della par condicio processuale. Anche le due richiamate ipotesi che facoltizzano il giudice a compensare, in tutto o in parte, le spese di lite – le quali, a seguito della presente dichiarazione di illegittimità costituzionale, sono non più tassative, ma parametriche di altre analoghe ipotesi di «gravi e eccezionali ragioni» – rinviano comunque a condizioni prevalentemente oggettive e non già a situazioni strettamente soggettive della parte soccombente, quale l’essere essa la parte “debole” del rapporto controverso.

Finanche la legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie) – la quale pur conteneva disposizioni ispirate al favor per questo contenzioso al fine di agevolare la tutela giurisdizionale del lavoratore, quali quelle che prevedevano l’esenzione da ogni spesa o tassa (art. 10) ed il patrocinio a spese dello Stato per le parti non abbienti (art. 11) – non aveva derogato al disposto dell’art. 92 cod. proc. civ., quanto alla condanna della parte totalmente soccombente al pagamento delle spese di lite. In ogni caso per il lavoratore operava la regola generale della condanna della parte totalmente soccombente al pagamento delle spese di lite, salva la facoltà per il giudice di compensarle sulla base della già richiamata clausola generale, all’epoca vigente, dei «giusti motivi». Ed opera tuttora la stessa regola, salva la facoltà per il giudice di compensarle ove ricorrano, secondo la disciplina attualmente vigente, le due ipotesi nominativamente previste dal secondo comma dell’art. 92 cod. proc. civ., oltre – a seguito della presente dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata – anche altre analoghe «gravi ed eccezionali ragioni».

Solo per le controversie in materia previdenziale proposte nei confronti degli istituti di previdenza ed assistenza l’art. 9 della legge n. 533 del 1973 aveva sostituito l’art. 152 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, disponendo che il lavoratore soccombente nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali non era assoggettato al pagamento di spese, competenze ed onorari a favore degli istituti di assistenza e previdenza, a meno che la pretesa non fosse manifestamente infondata e temeraria; disposizione questa, peraltro anticipata, in una portata più limitata, dal dettato dell’art. 57 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) e successivamente estesa anche alle controversie di natura assistenziale dalla sentenza n. 85 del 1979.

Ma il collegamento dell’esonero con la condizione di «non abbiente» è stato dapprima prefigurato, come possibile, da questa Corte (sentenza n. 135 del 1987) e poi posto a fondamento della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, in legge 14 novembre 1992, n. 438, per aver, tale disposizione, operato un’indiscriminata abrogazione dell’esonero stesso, trascurando qualunque distinzione tra abbienti e non abbienti (sentenza n. 134 del 1994); esonero poi ripristinato dall’art. 42, comma 11, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, in favore della parte soccombente che risulti «non abbiente», essendo l’esonero condizionato all’integrazione di un requisito reddituale significativo della debolezza economica del ricorrente (ordinanza n. 71 del 1998).

Quindi da una parte la condizione soggettiva di “lavoratore” non ha mai comportato alcun esonero dall’obbligo di rifusione delle spese processuali in caso di soccombenza totale nelle controversie promosse nei confronti del datore di lavoro; d’altra parte nelle controversie di previdenza ed assistenza sociale, promosse nei confronti degli enti che erogano prestazioni di tale natura, la condizione di assicurato o beneficiario della prestazione deve concorrere con un requisito reddituale perché, in via eccezionale, possa comportare siffatto esonero.

La ragione di tale eccezione in favore della parte soccombente «non abbiente», e quindi “debole”, risiede nella diretta riferibilità della prestazione previdenziale o assistenziale, oggetto del contenzioso, alla speciale tutela prevista dal secondo comma dell’art. 38 Cost., che mira a rimuovere, o ad alleviare, la situazione di bisogno e di difficoltà dell’assicurato o dell’assistito.

Invece la qualità di “lavoratore” della parte che agisce (o resiste), nel giudizio avente ad oggetto diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, non costituisce, di per sé sola, ragione sufficiente – pur nell’ottica della tendenziale rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale alla tutela giurisdizionale (art. 3, secondo comma, Cost.) – per derogare al generale canone di par condicio processuale quanto all’obbligo di rifusione delle spese processuali a carico della parte interamente soccombente. Di ciò non si è dubitato in riferimento all’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. nel testo vigente fino al 2009; ma lo stesso può affermarsi nell’attuale formulazione della medesima disposizione, quale risultante dalla presente dichiarazione di illegittimità costituzionale. Dalla quale comunque consegue che la circostanza – segnalata dal giudice rimettente – che il lavoratore, per la tutela di suoi diritti, debba talora promuovere un giudizio senza poter conoscere elementi di fatto, rilevanti e decisivi, che sono nella disponibilità del solo datore di lavoro (cosiddetto contenzioso a controprova), costituisce elemento valutabile dal giudice della controversia al fine di riscontrare, o no, una situazione di assoluta incertezza in ordine a questioni di fatto in ipotesi riconducibili alle «gravi ed eccezionali ragioni» che consentono al giudice la compensazione delle spese di lite.

19.- Né la ritenuta non fondatezza della questione di legittimità costituzionale è revocata in dubbio dai citati parametri sovranazionali interposti, che vietano trattamenti discriminatori basati sul censo.

La considerazione che sovente il contenzioso di lavoro possa presentarsi in termini sostanzialmente diseguali, nel senso che il lavoratore ricorrente, che agisca nei confronti del datore di lavoro, sia parte “debole” del rapporto controverso, giustifica norme di favore su un piano diverso da quello della regolamentazione delle spese di lite, una volta che quest’ultima è resa meno rigida a seguito della presente dichiarazione di illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 92 cod. proc. civ. con l’innesto della clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni». Si sono già ricordate le disposizioni di favore contenute negli artt. 10 e 11 della legge n. 533 del 1973 (peraltro successivamente abrogati); ad esse può aggiungersi anche l’art. 13, comma 3, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», il quale prevede che il contributo unificato per le spese di giustizia è ridotto alla metà per le controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego.

Più in generale può dirsi che è rimesso alla discrezionalità del legislatore ampliare questo favor praestatoris, ad esempio rimodulando, in termini di minor rigore o finanche di esonero, il previsto raddoppio di tale contributo in caso di rigetto integrale, o di inammissibilità, o di improcedibilità dell’impugnazione (art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002).

20.- In conclusione risulta non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia, mirante ad innestare nella disposizione censurata, come deroga alla regola secondo cui la parte soccombente è condannata alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa – oltre alle ipotesi nominativamente previste dalla disposizione stessa, come integrate dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale nei termini di cui sopra al punto 16. – un’ulteriore deroga centrata sulla natura della lite, perché controversia di lavoro, ed a favore solo del lavoratore che agisca in giudizio nei confronti del datore di lavoro.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile l’intervento della Confederazione generale italiana del lavoro;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile, nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del d. l. n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 162 del 2014, sollevate, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2018.

CONVEGNO: LE FONDAZIONI – 6 OTTOBRE 2017

CONVEGNO: LE FONDAZIONI

Tipologie e Finalità dell’istituto

anche come strumento di protezione del patrimonio

Convegno 2017.10.06 San Donà
Convegno 2017.10.06 San Donà
  • Un istituto dalla storia lontana che torna di attualità
  • Possibilità e limiti alla luce della competizione con gli antagonisti più recenti
  • Disciplina legislativa e orientamenti giurisprudenziali

Best Western Park Hotel Continental – Via XIII Martiri, San Donà di Piave

Camera Avvocati San Donà di Piave

6 ottobre 2017 – ore 15:00 – 19.00

Relatore: Avv. Giuliano Zanchi – ricercatore di Diritto privato nell’Università di Venezia e prof. aggr. di European Law

il COA di Venezia ha riconosciuto n. 3 (tre) crediti formativi nelle materie generali.

***

100 POSTI COMPLESSIVI – 70 posti riservati agli iscritti al Calendario Formativo 2017 della Camera Avvocati di San Donà di Piave.

Per i restanti 30 posti, con contributo spese di 10 euro, iscrizioni via email all’indirizzo .camera[@]avvocati.venezia.it

Convegno 2017.10.06 San Donà

CONVEGNO: L’ASSICURAZIONE PROFESSIONALE DELL’AVVOCATO – VECCHI E NUOVI OBBLIGHI

L’ASSICURAZIONE PROFESSIONALE DELL’AVVOCATO – VECCHI E NUOVI OBBLIGHI
L’ASSICURAZIONE PROFESSIONALE DELL’AVVOCATO – VECCHI E NUOVI OBBLIGHI

“L’ASSICURAZIONE PROFESSIONALE DELL’AVVOCATO – VECCHI E NUOVI OBBLIGHI” convegno organizzato in collaborazione da Movimento Forense Venezia e Camera Avvocati di San Dona’ di Piave: il 22 settembre 2017 dalle ore 15.00 alle ore 19.00 presso il Best Western Park Hotel Continental di San Donà di Piave (Ve); il COA di Venezia ha riconosciuto n. 3 (tre) crediti formativi nelle materie generali.

Iscrizioni a mezzo e-mail all’indirizzo : movimentoforensevenezia@gmail.com

FOGLIO INFORMATIVO: IL GIUDICE DI PACE DI SAN DONA’

IL GIUDICE DI PACE DI SAN DONA’

Giustizia di prossimità: un’opportunità per risolvere  alcune controversie  in modo rapido

Per i cittadini dei comuni di San Donà di Piave, Musile di Piave, Eraclea, Fossalta di Piave, Ceggia, Jesolo, Torre di Mosto, Quarto d’Altino, Meolo, Noventa di Piave, è possibile rivolgersi

all’Ufficio del Giudice di Pace
di San Donà di Piave.
(Viale Libertà 12 —30027 San Donà di Piave VE)

Il giudice di pace di San Donà

CONVEGNO: LA NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO con le novità previste dalla IV Direttiva

LA NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO: con le novità previste dalla IV Direttiva

CONVEGNO DI APPROFONDIMENTO GRATUITO

Antiriciclaggio per gli Avvocati. Obblighi, responsabilità e le indicazioni del nuovo decreto di recepimento della IV Direttiva del 24/5/17

Antiriciclaggio - Camera Avvocati: 3-06-2017
Antiriciclaggio – Camera Avvocati: 3-06-2017

 

Il 24/05/2017 il Cdm ha approvato il nuovo decreto di recepimento della IV Direttiva UE in materia di antiriciclaggio.
Vi sono importanti novità sul fronte degli adempimenti per i professionisti e sulla nuova trasparenza del titolare effettivo con risvolti anche sugli obblighi degli enti e sul diritto di voto in assemblea per le società.

PROGRAMMA

  • 14,30
    Registrazione dei partecipanti
  • 15,00
    Saluti e introduzione dei lavori
    -Avv. Alberto Antonio Vigani – Presidente della Camera Avvocati di San Donà di Piave

    -Avv. Victor Rampazzo – Presidente Movimento Forense Venezia

  • Il sistema della prevenzione del delitto di riciclaggio e il coinvolgimento dell’Avvocato tra i destinatari della collaborazione attiva, tra conoscenza del cliente e segreto professionale;
  • Novità e obblighi previsti con il nuovo decreto di recepimento della IV Direttiva e le indicazioni per gli Avvocati;
  • La segnalazione delle operazioni sospette, i casi di esonero e le responsabilità penali dei professionisti;
  • L’organizzazione dello studio legale e la gestione dell’incarico da parte del cliente con riferimento alle procedure per la valutazione del rischio, all’adeguata verifica e al nuovo obbligo di conservazione;

    Intervengono:

    Avv. Victor Rampazzo – Presidente Movimento Forense Venezia

    Col. Donato Montagna – Colonnello della Guardia di Finanza in congedo
    Esperto di normativa antiriciclaggio e di repressione del riciclaggio. Docente master antiriciclaggio per i professionisti.

    Dott. Antonio Fortarezza – Presidente Commissione Antiriciclaggio ODCEC Milano
    Autore e docente in materia di antiriciclaggio per i professionisti

    • 18,30
    Spazio risposte ai quesiti e dibattito

L’evento è organizzato da Movimento Forense Venezia e Camera Avvocati di San Donà di Piave.
E’ un convegno GRATUITO in tema di adempimenti anti riciclaggio per gli studi legali.
Ci si iscrive on line collegandosi al sito www.vedaformazione.it
Il numero massimo di posti disponibili è di 120 posti.

 

23 Giugno 2017- Ore: 15,00 – 19,00

Best Western Park Hotel Continental
Via XIII Martiri, 229, 30027 San Donà di Piave (Ve)

ISCRIZIONI

Per la partecipazione al convegno è obbligatoria la registrazione. Le iscrizioni per la partecipazione al convegno avvengono on-line compilando il modulo presente sul sito www.vedaformazione.it .

 

CREDITI FORMATIVI

Il Convegno è accreditato ai fini della formazione professionale continua dall’Ordine degli Avvocati di Venezia, con il riconoscimento di 3 crediti formativi di cui 2 in deontologia.

CAMERA AVVOCATI A PIAVETV: “UNA GIUSTIZIA VICINA AL CITTADINO”

Una giustizia vicina al cittadino

Alberto Vigani
Alberto Vigani

La cronaca spesso tralascia il tema della giustizia: non si parla di inefficienza, di tagli lineari e di inefficacia dei tribunali. L’interesse dei cittadini nei confronti della giustizia emerge solo quando la cronaca nera o l’aspro dibattito politico palesano l’esistenza di gravi ed oggettive difficoltà che affliggono questo comparto.
Per questo é importante parlare della “giustizia di prossimità”, quella del giudice di pace, quella che si sente più vicina ed interessa tutti i cittadini che devono opporsi a sanzioni amministrative, quella che interessa gli artigiani che non hanno ottenuto il pagamento delle proprie prestazioni. Siamo andati a parlarne a PIAVETV in un’intervista con l’avv. Alberto Vigani, Presidente dell’associazione forense “Camera Avvocati di San Donà di Piave”, e con i sindaci di san Donà di Piave, Andrea Cereser, e Fossalta di Piave, Massimo Sensini.

Ecco le domande all’Avvocato Vigani.

I tagli alla giustizia hanno cancellato molti uffici giudiziari che un tempo servivano il territorio. La nuova geografia giudiziaria ha sacrificato anche uffici efficienti, ora a che punto siamo?

Spieghiamo ai cittadini cosa è successo: nel settembre del 2013, le scelte conseguenti alla riforma della geografia giudiziaria hanno portato a chiudere in Italia circa 700 uffici del Giudice di Pace, 220 sezione distaccate di tribunale ed oltre 30 tribunali circondariali.
Questa decisione “epocale” di accentramento degli uffici, ha avuto il suo costo umano anche in Veneto. Non è andata meglio alla provincia di Venezia, dove sono stati chiusi gli uffici giudiziari di ben 4 sezioni distaccate (Chioggia, Dolo, San Donà e Portogruaro, n.d.r.) e prima 4 Giudici di Pace (Dolo, Mestre, Cavarzere e Portogruaro, quest’ultimo in soppressione nei giorni più prossimi, n.d.r.) con la riapertura successiva dell’ufficio di Dolo.
Buona parte delle sedi in questione aveva un’efficienza ed un’operatività di tutto rilievo, garantendo una giustizia di prossimità al cittadino in un’area territoriale di gestione difficoltosa per collegamenti e traffico.
Basti pensare che gli uffici giudiziari veneziani sono ancora per molta parte concentrati a Rialto, mentre il resto della provincia si estende su 120 chilometri, da Chioggia a Bibione. Inoltre, a fronte di circa 55.000 residente delle isole, ce ne sono 750 mila in terraferma, di questi 250 mila vivono nell’estremo orientale.
Si deve poi ricordare che alcuni uffici soppressi avevano standard di efficienza superiori a quelli del tribunale accorpante, questo esempio vale per San Donà di Piave.

Sappiamo che una delle figure più importanti del mondo della giustizia è il giudice di pace: a causa dei tagli, l’ufficio di Portogruaro è stato chiuso mentre quello di San Donà è rimasto operativo grazie allo sforzo finanziario dei comuni limitrofi. Secondo voi, perdere l’ufficio del giudice di pace rappresenta un grave deficit per un territorio?

Il Giudice di Pace è un ufficio giudiziario dalla limitata competenza per valore, ossia per cause fino a 5000 euro e sinistri da circolazione fino a 20.000, ma di grande importanza per il cittadino perché statisticamente copre con il suo lavoro la grande maggioranza delle controversie che coinvolgono cittadini e piccole imprese. Lo stesso deve dirsi per la limitata competenza penale che lo vede giudicare su procedimenti di moderata rilevanza criminogena di alta diffusione sociale.
Per queste ragioni, il mantenimento dell’ufficio del giudice sul territorio è di grande importanza per cittadini, imprese e famiglie e deve essere un obbiettivo prioritario per i rappresentanti di comuni e provincie che dicono di lavorare per la tutela di coloro che li hanno votati.
In questo senso va segnalata con apprezzamento l’attività svolta dai comuni del basso Piave, capitanati da San Donà e Jesolo, che hanno saputo dare il più ampio supporto alla difesa del presidio di giustizia garantito dal giudice di pace sandonatese, oggi simbolo di buon servizio all’utenza e di esemplare operatività amministrativa.
Mi rendo conto che sembrano parole fin troppo lodevoli, ma posso assicurare che sono del tutto meritate. Infatti, il confronto con le realtà limitrofe ci fa capire che questo risultato non era e non è scontato.

La situazione del giudice di pace non è rosea nemmeno nel comune di Venezia – Mestre: può spiegarci cosa sta accadendo?

Dopo l’accorpamento degli uffici giudiziari mandamentali ai capoluoghi, presso il giudice di pace di Venezia tutto ha subito un rallentamento, anche a causa della carenza di personale.
Questa disfunzione non si é invece riflessa sui cittadini del sandonatese perché hanno un ufficio autonomo: quest’anno il giudice di pace di San Donà ha garantito alla cittadinanza un accesso veloce e tempestivo alla giustizia. Infatti, nel corso dell’anno, sono stati gestiti quasi 1400 procedimenti civile e oltre 700 penali. Ed i tempi di gestione sono molto migliori della media.
Per il recupero crediti, il giudice di pace (in acronimo GdP, n.d.r.) è infatti competente per tali cause fino all’importo di 5000 euro: l’ufficio sandonatese ha un tempo di emissione di un decreto ingiuntivo che varia da 4 a 7 giorni, a fronte di anche 6 mesi impiegati a Venezia.
Il GdP è competente anche per le cause concernenti la circolazione di veicoli di valore non superiore ai 20.000,00 euro. Questo significa che per la maggior parte dei sinistri che si verificano nel sandonatese, si può evitare di andare fino al tribunale di Rialto.
Insomma i numeri che danno il bilancio del lavoro di quest’anno sono confortanti e danno atto che si lavora anche più di quanto si pensasse nelle realtà vicine (era giàcirca il doppio dell’ufficio portogruarese, n.d.r.). Ecco alcuni dati:

Nel complesso, le cause trattate nel 2016 sono state 1385, in aumento di più del 10 % rispetto alle 1183 nel 2015, e maggiori rispetto anche alle 1218 del 2014, con 22. procedimenti per Accertamento Tecnico Preventivo con perizie disposte dal giudice..
Ben 91 sono stati i giorni di udienza civile dei Giudici Pace nel corso dei 12 mesi.
Fanno parte del carico di lavoro complessivo ben 576 i decreti ingiuntivi, quasi tutti relativi al recupero di crediti, emessi nell’arco di 4 o 6 giorni (in piccolo calo rispetto ai 619 del 2015, forse anche per una migliore congiuntura delle finanze dei cittadini del basso piave).
Sono 203 in totale le opposizioni a sanzioni amministrative sopravvenute nell’anno (in aumento rispetto alle 165 del 2015) su 420 complessivamente trattate nel 2016: spesso si tratta di ricorsi contro le multe. Ma ancora sono 440 le sentenze civili, in aumento rispetto alle 340 del 2015 con un segnale importante perché si rafforza l’accelerazione nella trattazione dei procedimenti.
Sono invece in aumento le sentenze penali, passate da 190 nel 2014 a 285 nel 2015 e 326 nel 2016, su un totale di 676 procedimenti pendenti in corso d’anno, relative anche agli anni precedenti e 466 sopravvenuti nel solo 2016.
Le 20 giornate di udienza penale si sono tutte svolte presso la sala consigliare del municipio sandonatese.

Se tutto ciò non bastasse, a San Donà ci si è poi garantiti la trasmissione degli atti delle procedure di Amministrazione di Sostegno alla cancelleria della volontaria giurisdizione del tribunale di Venezia: in questo modo, nel 2015, si sono liberate una quarantina di famiglie con disabili, e loro amministratori, dal doversi recare fino alla sede di Rialto.
Un ufficio giudiziario che funziona garantisce l’accesso alla giustizia e il risparmio delle risorse pubbliche: ben 203 dei procedimenti civili censiti a San Donà sono opposizioni a sanzioni amministrative (OSA) e ciò significa che per i 203 casi, ci sono state audizioni degli agenti verbalizzanti, pari almeno a 2 dipendenti comunali per verbale.
Oltre al costo del personale, si deve considerare che il personale che si presenta davanti al giudice non può essere presente nei rispettivi uffici: nei piccoli comuni questo può comportare persino la paralisi dell’efficienza amministrativa.

A vostro avviso, destinare risorse agli uffici del giudice pace, al di là di come la si possa pensare in merito alle attribuzioni fatte a questa figura dalle varie riforme, può essere un metodo per accelerare i tempi della giustizia e per favorire l’economia locale?

Un ufficio giudiziario efficiente è la condizione necessaria per una giustizia giusta. Perché una giustizia che arriva tardi é una giustizia negata. E una giustizia lontana é spesso irraggiungibile.
A San Donà, invece, possiamo dire di avere un ufficio che funziona e abbiamo risposte in tempo reale per la cittadinanza, senza il rallentamento conseguente alla difficoltà di accesso all’ufficio o alla carenza di risorse umane.
Mi piace ricordare che gli uffici a misura di operatore ed utente sono sempre quelli più efficienti, ma anche quelli dove la percezione dell’utilità del servizio aiuta a migliorare la stessa qualità della prestazione dell’ente.
L’effettiva fruibilità diretta e facile del servizio giustizia aiuta molti a coltivare la tutela di diritti che altrimenti verrebbero trascurati ed abbandonati anche solo per l’avvertita difficoltà di poterne godere.
Il giudice di pace può essere poi “l’uovo di colombo” anche per i costi indiretti del servizio giustizia che gravano sul cittadino: un ufficio di miglior raggiungibilità pesa meno sulle tasche di famiglie e contribuenti oltre a veder il GdP costare anche meno per le tariffe di contributi e marche ridotte rispetto a quelle dei tribunali.
Per tutti questi motivi la “Camera Avvocati di San Donà”, della quale sono il rappresentante istituzionale, e lo stesso Organismo Unitario dell’Avvocatura si sono sempre battuti, nei differenti ambiti, per la miglior valorizzazione dell’Ufficio del GdP.

ARRIVA LA RIFORMA DEL GIUDICE DI PACE

Il Governo ha presentato la riforma organica della magistratura onoraria e  dei giudici di pace in attuazione della legge delega 29 aprile 2016, n. 57: di seguito il testo di quest’ultima e la bozza di il decreto legislativo approvato dal CdM in via preliminare

Ministro Orlando
Ministro Orlando

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia Andrea Orlando, ha approvato, in esame preliminare, il testo del decreto legislativo che, in attuazione della legge 29 aprile 2016, n. 57, completa la riforma organica della magistratura onoraria, prevedendo ulteriori disposizioni sui giudici di pace, nonché una disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari già in servizio.

Con il decreto, nello specifico, si introducono:

  1. uno statuto unico della magistratura onoraria, applicabile ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, inserendo i primi due nell’ufficio del giudice di pace, a sua volta sottoposto ad un radicale ripensamento;
  2. la previsione dell’intrinseca temporaneità dell’incarico;
  3. la riorganizzazione dell’ufficio del giudice di pace;
  4. la rideterminazione del ruolo e delle funzioni dei giudici onorari e dei vice procuratori onorari;
  5. il riconoscimento della precipua natura formativa delle attività svolte presso le rispettive strutture organizzative;
  6. l’individuazione dei compiti e delle attività delegabili dal magistrato professionale al magistrato onorario;
  7. la regolamentazione dei compensi, in modo da delineare un quadro omogeneo;
  8. l’articolazione di un regime previdenziale e assistenziale adeguato in ragione dell’onorarietà dell’incarico.

***

 

SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE LA RIFORMA ORGANICA DELLA MAGISTRATURA ONORARIA E ALTRE DISPOSIZIONI SUI GIUDICI DI PACE NONCHE’ LA DISCIPLINA TRANSITORIA RELATIVA AI MAGISTRATI ONORARI IN SERVIZIO, A NORMA DELLA LEGGE 29 APRILE 2016, N. 57

VISTI gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
VISTA la legge 29 aprile 2016, n. 57 recante disposizioni di delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace;

VISTO il regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12;

VISTA la legge 21 novembre 1991, n. 374;

VISTO il decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25;

VISTO il decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26;

VISTO il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273 e, in particolare, l’articolo 4;

VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri adottata nella riunione del ……….;

ACQUISITO il parere reso dalle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

ACQUISITO il parere del Consiglio superiore della magistratura;
VISTA la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del ……….;

SULLA PROPOSTA del Ministro della giustizia;
Emana
il seguente decreto legislativo

Capo I
Disposizioni generali

Art. 1
(Magistratura onoraria)

1. Il “giudice onorario di pace” è il magistrato onorario addetto all’ufficio del giudice di pace. Al giudice onorario di pace sono assegnati i compiti e le funzioni di cui all’articolo 9.
2. Il “vice procuratore onorario” è il magistrato onorario addetto all’ufficio dei vice procuratori onorari, istituito ai sensi del articolo 2. Al viceprocuratore onorario sono assegnati i compiti e le funzioni di cui all’articolo 16.
3. L’incarico di magistrato onorario ha natura inderogabilmente temporanea, si svolge in modo da assicurare la compatibilità con lo svolgimento di attività lavorative o professionali e non determina in nessun caso un rapporto di pubblico impiego. Al fine di assicurare tale compatibilità, a ciascun magistrato onorario non può essere richiesto un impegno superiore a due giorni a settimana.
4. Il magistrato onorario esercita le funzioni giudiziarie secondo principi di autoorganizzazione dell’attività, nel rispetto dei termini e delle modalità imposti dalla
legge e delle esigenze di efficienza e funzionalità dell’ufficio.

Art. 2
(Istituzione dell’ufficio dei vice procuratori onorari)

1. Sono costituite, nelle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari, strutture organizzative denominate “ufficio dei vice procuratori onorari”.
2. L’ufficio di cui al comma 1 si avvale, secondo le determinazioni organizzative del procuratore della Repubblica, dei vice procuratori onorari, del personale di segreteria, di coloro che svolgono il tirocinio formativo a norma dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 o la formazione professionale dei laureati a norma dell’articolo 37, comma 5, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.

Art. 3
(Dotazione organica dei giudici onorari di pace e dei vice procuratori onorari. Pianta organica dell’ufficio del giudice di pace)

1. La dotazione organica dei giudici onorari di pace è fissata, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, acquisito il parere del Consiglio superiore della magistratura, tenendo conto delle esigenze di efficienza e funzionalità dei servizi della giustizia, in relazione a tutti i compiti e le funzioni previsti dalle disposizioni del Capo III. Con separato decreto del Ministro della giustizia è determinata la pianta organica degli uffici del giudice di pace.
2. In sede di prima applicazione del presente decreto, la dotazione organica dei giudici onorari di pace non può, in ogni caso, essere superiore a quella dei magistrati
professionali che svolgono funzioni giudicanti di merito. Nel computo di cui al periodo precedente non si considerano i magistrati professionali con funzioni direttive di merito giudicanti.
3. Con il decreto di cui al comma 1, primo periodo, è fissata la dotazione organica dei viceprocuratori onorari e con il decreto del Ministro della giustizia di cui al secondo periodo del predetto comma è determinata la pianta organica degli uffici dei viceprocuratori onorari.
4. In sede di prima applicazione del presente decreto, la dotazione organica dei vice procuratori onorari non può, in ogni caso, essere superiore a quella dei magistrati professionali che svolgono funzioni requirenti di merito. Nel computo di cui al periodo precedente non si considerano i magistrati professionali con funzioni direttive di merito requirenti.
5. La dotazione organica e le piante organiche sono stabilite in modo da assicurare il rispetto di quanto disposto dall’articolo 1, comma 3.
6. La modifica della pianta organica degli uffici di cui ai commi 1 e 3 è disposta, anche su segnalazione dei capi degli uffici, con le modalità di cui ai predetti commi.
7. Con il decreto di cui al comma 1, secondo periodo, è individuato, per ciascun ufficio del giudice di pace, il numero dei giudici onorari di pace che esercitano la giurisdizione civile e penale presso il medesimo ufficio nonché il numero dei giudici onorari di pace addetti all’ufficio per il processo del tribunale nel cui circondario ha sede l’ufficio del giudice di pace.
8. In attuazione di quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, della legge 28 aprile 2016, n.57, i criteri di cui ai commi 2 e 4 per la determinazione della dotazione
organica dei giudici onorari di pace e dei vice procuratori onorari possono essere adeguati nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Capo II
Del conferimento dell’incarico di magistrato onorario, del tirocinio e delle incompatibilità

Art. 4
(Requisiti per il conferimento dell’incarico di magistrato onorario)

1. Per il conferimento dell’incarico di magistrato onorario è richiesto il possesso dei seguenti requisiti:
a) cittadinanza italiana;
b) esercizio dei diritti civili e politici;
c) essere di condotta incensurabile;
d) idoneità fisica e psichica;
e) età non inferiore a ventisette anni e non superiore a sessanta;
f) residenza in un comune compreso nel distretto in cui ha sede l’ufficio giudiziario per il quale è presentata domanda, fatta eccezione per coloro che esercitano la professione di avvocato o le funzioni notarili;
g) laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni;
h) in caso di partecipazione alla assegnazione di incarichi di magistrato onorario negli uffici aventi sede, rispettivamente, nella provincia autonoma di Bolzano e nella
regione Valle d’Aosta, conoscenza, rispettivamente, della lingua tedesca e della lingua francese; per la valutazione in ordine al possesso di detto requisito si applicano
le vigenti disposizioni di legge.
2. Non può essere conferito l’incarico a coloro che:
a) hanno riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzioni, salvi gli effetti della riabilitazione;
b) sono stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personali;
c) hanno subito sanzioni disciplinari superiori alla sanzione più lieve prevista dall’ordinamento di appartenenza;
d) sono stati collocati in quiescenza;
e) hanno svolto per più di quattro anni, anche non consecutivi le funzioni giudiziarie onorarie disciplinate dal presente decreto;
f) non sono stati confermati nell’incarico di magistrato onorario, a norma dell’articolo 18; o è stata disposta nei loro confronti la revoca dell’incarico, a norma dell’articolo 21.
3. Costituiscono titolo di preferenza, nell’ordine:
a) l’esercizio pregresso delle funzioni giudiziarie, comprese quelle onorarie, fermo quanto previsto dal comma 2, lettera e);
b) l’esercizio, anche pregresso, per almeno un biennio, della professione di avvocato;
c) l’esercizio, anche pregresso, per almeno un biennio, della professione di notaio;
d) l’esercizio, anche pregresso, per almeno un biennio, dell’insegnamento di materie giuridiche nelle università;
e) lo svolgimento con esito positivo del tirocinio di cui all’articolo 7, senza che sia intervenuto il conferimento dell’incarico di magistrato onorario;
f) l’esercizio pregresso, per almeno un biennio, delle funzioni inerenti ai servizi delle cancellerie e segreterie giudiziarie con qualifica non inferiore a quella di direttore
amministrativo;
g) lo svolgimento, con esito positivo, dello stage presso gli uffici giudiziari, a norma dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98;
h) il conseguimento del dottorato di ricerca in materie giuridiche;
i) l’esercizio, anche pregresso, per almeno un biennio, dell’insegnamento di materie giuridiche negli istituti superiori statali.
4. In caso di uguale titolo di preferenza ai sensi del comma 3 prevale, nell’ordine:
a) la maggiore anzianità professionale o di servizio, con il limite massimo di dieci anni di anzianità;
b) la minore età anagrafica;
c) il più elevato voto di laurea.

Art. 5
(Incompatibilità)

1. Non possono esercitare le funzioni di magistrato onorario:
a) i membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo spettanti all’Italia, i membri del Governo e quelli delle giunte degli enti territoriali, nonché i deputati e i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali;
b) gli ecclesiastici e i ministri di qualunque confessione religiosa;
c) coloro che ricoprono o che hanno ricoperto, nei tre anni precedenti alla domanda, incarichi direttivi o esecutivi nei partiti e movimenti politici o nelle associazioni
sindacali comparativamente più rappresentative;
d) coloro che ricoprono la carica di difensore civico;
e) coloro che svolgono abitualmente attività professionale per conto di imprese di assicurazione o bancarie, ovvero per istituti o società di intermediazione finanziaria,
oppure hanno il coniuge, la parte dell’unione civile, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado che svolgono abitualmente tale
attività nel circondario in cui il giudice di pace esercita le funzioni giudiziarie.
2. Gli avvocati e i praticanti abilitati non possono esercitare le funzioni di magistrato onorario in uffici giudiziari compresi nel circondario del tribunale nel quale esercitano la professione forense, ovvero nel quale esercitano la professione forense i loro associati di studio, i membri dell’associazione professionale, i soci della società tra professionisti, il coniuge, la parte dell’unione civile o i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado. Gli avvocati che esercitano la propria attività professionale nell’ambito di società o associazioni tra professionisti non possono esercitare le funzioni di magistrato onorario nel circondario del tribunale nel quale la società o l’associazione forniscono i propri servizi. Non costituisce causa di incompatibilità l’esercizio del patrocinio davanti al
tribunale per i minorenni, al tribunale penale militare, ai giudici amministrativi e contabili, nonché davanti alle commissioni tributarie.
3. Gli avvocati e i praticanti abilitati che svolgono le funzioni di magistrato onorario non possono esercitare la professione forense presso gli uffici giudiziari compresi nel circondario del tribunale ove ha sede l’ufficio giudiziario al quale sono assegnati e non possono rappresentare, assistere o difendere le parti di procedimenti svolti davanti al medesimo ufficio, nei successivi gradi di giudizio. Il divieto si applica anche agli associati di studio, ai membri dell’associazione professionale e ai soci della società tra professionisti, al coniuge, la parte dell’unione civile, ai conviventi, ai parenti entro il secondo grado e agli affini entro il primo grado.
4. I magistrati onorari che hanno tra loro vincoli di parentela fino al secondo grado o di affinità fino al primo grado, di coniugio o di convivenza non possono essere assegnati allo stesso ufficio giudiziario. La disposizione del presente comma si applica anche alle parti dell’unione civile.
5. Il magistrato onorario non può ricevere, assumere o mantenere incarichi dall’autorità giudiziaria nell’ambito dei procedimenti che si svolgono davanti agli uffici giudiziari compresi nel circondario presso il quale esercita le funzioni giudiziarie.

Art. 6
(Ammissione al tirocinio)

1. Il Consiglio superiore della magistratura procede con delibera, da adottarsi entro il 30 marzo di ogni anno, alla individuazione dei posti da pubblicare, anche sulla base delle vacanze previste nei dodici mesi successivi, nelle piante organiche degli uffici del giudice di pace e dei viceprocuratori onorari, determinando le modalità di formulazione del relativo bando nonché il termine per la presentazione delle domande.
2. All’adozione ed alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del bando per il conferimento degli incarichi nel rispettivo distretto provvede, entro trenta giorni dalla delibera di cui al comma 1, la sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25, dandone notizia mediante inserzione del relativo avviso nel sito internet del Ministero della giustizia nonché comunicazione ai consigli degli ordini degli avvocati e dei notai nonché alle università aventi sede nel distretto.
3. Dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale decorre il termine, stabilito nel bando, per la presentazione al presidente della corte di appello delle domande, nelle quali sono indicati i requisiti e i titoli posseduti, sulla base di un modello standard approvato dal Consiglio superiore della magistratura. Alla domanda è allegata la dichiarazione attestante l’insussistenza delle cause di incompatibilità previste dalla legge.
4. Gli interessati possono presentare, in relazione ai posti individuati a norma del comma 1, domanda di ammissione al tirocinio per non più di tre uffici dello stesso distretto.
5. La sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario, acquisito il parere dell’ordine professionale al quale il richiedente risulti eventualmente iscritto, redige la graduatoria degli aspiranti, sulla base dei criteri indicati nell’articolo 4 commi 3 e 4 e formula le motivate proposte di ammissione al tirocinio sulla base delle domande ricevute e degli elementi acquisiti.
6. Le domande degli interessati e le proposte della sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario sono trasmesse al Consiglio superiore della magistratura.
7. Il Consiglio superiore della magistratura delibera, per ciascun ufficio, l’ammissione al tirocinio di un numero di interessati pari, ove possibile, al numero dei posti individuati ai sensi del comma 1, aumentato della metà ed eventualmente arrotondato all’unità superiore.

Art. 7
(Tirocinio e conferimento dell’incarico)

1. Il tirocinio è organizzato dal Consiglio superiore della magistratura e dalla Scuola superiore della magistratura, secondo le rispettive competenze e attribuzioni come determinate dalle disposizioni del titolo II del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26.
2. Il Consiglio superiore della magistratura, sentito il comitato direttivo della Scuola, definisce, con delibera, la data di inizio e le modalità di svolgimento del tirocinio presso gli uffici giudiziari.
3. Il tirocinio per il conferimento dell’incarico di magistrato onorario ha la durata di sei mesi e viene svolto:
a) per i giudici onorari di pace, nel tribunale ordinario nel cui circondario ha sede l’ufficio del giudice di pace in relazione al quale è stata disposta l’ammissione al
tirocinio;
b) per i vice procuratori onorari, nella procura della Repubblica presso la quale è istituito l’ufficio dei viceprocuratori onorari in relazione al quale è stata disposta
l’ammissione al tirocinio.
4. La sezione autonoma del consiglio giudiziario di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 organizza e coordina il tirocinio svolto presso gli uffici giudiziari attuando le direttive generali del Consiglio superiore della magistratura e nominando i magistrati collaboratori tra magistrati professionali dotati di adeguata esperienza e di elevato prestigio professionale.
5. Il tirocinio si svolge sotto la direzione del magistrato collaboratore, il quale si avvale di magistrati professionali affidatari, da lui designati, ai quali sono assegnati i tirocinanti per la pratica giudiziaria in materia civile e penale.
6. Il tirocinio, oltre che nell’attività svolta presso gli uffici giudiziari, consiste altresì nella frequenza obbligatoria e con profitto dei corsi teorico-pratici di durata non inferiore a 30 ore, organizzati dalla Scuola superiore della magistratura, nel quadro delle attività di formazione iniziale della magistratura onoraria di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 26 del 2006, avvalendosi della rete della formazione decentrata di cui alla lettera f) del comma 1 del predetto articolo 2, su materie indicate dalla stessa Scuola superiore, nonché su materie individuate dal Consiglio superiore della magistratura. I corsi sono coordinati da magistrati professionali tutori, designati dalla struttura per la formazione decentrata di ciascun distretto di Corte d’appello, e si articolano in una sessione teorica e in una sessione pratica. I tutori assicurano l’assistenza didattica ai magistrati onorari in tirocinio e curano lo svolgimento delle attività formative mediante esercitazioni pratiche, test e altre attività teorico-pratiche individuate dalla Scuola superiore della magistratura.
Terminati i corsi, la struttura della formazione decentrata, sulla base delle relazioni dei magistrati tutori e dell’allegata documentazione comprovante l’esito dei test, delle esercitazioni e delle altre attività pratiche svolte, redige e trasmette alla sezione autonoma per i magistrati onorari di cui all’articolo 10 del decreto legislativo n. 25 del 2006 un rapporto per ciascun magistrato onorario.
7. La sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario, acquisito il rapporto del magistrato collaboratore comprensivo delle schede valutative trasmesse dai magistrati affidatari e delle minute dei provvedimenti, esaminato il rapporto di cui al comma 6, formula un parere sull’idoneità del magistrato onorario in tirocinio e, per ciascun ufficio, propone al Consiglio superiore della magistratura la graduatoria degli idonei per il conferimento dell’incarico, formata sulla base della graduatoria di ammissione al tirocinio.
8. Il Consiglio superiore della magistratura, acquisita la graduatoria di cui al comma 7 e la documentazione allegata, designa i magistrati onorari idonei al conferimento dell’incarico in numero pari alle vacanze esistenti in ciascun ufficio.
9. Il Ministro della giustizia conferisce l’incarico con decreto.
10. Gli ammessi al tirocinio che hanno conseguito l’idoneità ed ai quali non sia stato conferito l’incarico nell’ufficio in relazione al quale è stata disposta l’ammissione al tirocinio a norma dell’articolo 6 comma 7, possono essere destinati, a domanda, ad altre sedi individuate con la delibera di cui all’articolo 6, comma 1 e risultate vacanti.
11. Ai magistrati onorari in tirocinio non spetta alcuna indennità.
12. Ai magistrati collaboratori e ai magistrati affidatari non spetta alcun compenso aggiuntivo o rimborso spese per lo svolgimento dell’attività formativa di cui al presente articolo.

Capo III
Dell’organizzazione dell’ufficio del giudice di pace. Delle funzioni e dei compiti dei giudici onorari di pace

Art. 8
(Coordinamento ed organizzazione dell’ufficio del giudice di pace)

1. Il presidente del tribunale coordina l’ufficio del giudice di pace che ha sede nel circondario e, in particolare, distribuisce il lavoro, mediante il ricorso a procedure automatiche, tra i giudici, vigila sulla loro attività e sorveglia l’andamento dei servizi di cancelleria ed ausiliari. Esercita ogni altra funzione di direzione che la legge attribuisce al dirigente dell’ufficio giudiziario.
2. La proposta di organizzazione è disposta con il procedimento di cui all’articolo 7-bis dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. Il Presidente della Corte di appello formula la proposta sulla base della segnalazione del presidente del tribunale, sentita la sezione autonoma per i magistrati onorari di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25.
3. Nello svolgimento dei compiti di cui al comma 1, il presidente del tribunale può avvalersi dell’ausilio di uno o più giudici professionali.
4. Il presidente del tribunale attribuisce ad uno o più giudici professionali il compito di vigilare sull’attività dei giudici onorari di pace in materia di espropriazione mobiliare presso il debitore e di espropriazione di cose del debitore che sono in possesso di terzi, nonché di stabilire le direttive e le prassi applicative in materia, concordate nel corso delle riunioni di cui all’articolo 22. Si applica l’articolo 10, comma 13, secondo periodo.
5. Dodici mesi prima della scadenza del termine di cui all’articolo 33, comma 3, il Ministero della giustizia mette a disposizione dell’ufficio del giudice di pace i programmi informatici necessari per la gestione del registro dei procedimenti di espropriazione mobiliare presso il debitore e di espropriazione di cose del debitore che sono in possesso di terzi e per l’assegnazione con modalità automatiche dei medesimi procedimenti. I programmi informatici assicurano che l’assegnazione degli affari abbia luogo secondo criteri di trasparenza.

Art. 9
(Funzioni e compiti dei giudici onorari di pace)

1. I giudici onorari di pace esercitano, presso l’ufficio del giudice di pace, la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile secondo le disposizioni dei codici di procedura civile e penale e delle leggi speciali.
2. I giudici onorari di pace possono essere assegnati alla struttura organizzativa denominata “ufficio per il processo”, costituita, a norma dell’articolo 16-octies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2012, n. 221, presso il tribunale del circondario nel cui territorio ha sede l’ufficio del giudice di pace al quale sono addetti.
3. I giudici onorari di pace assegnati all’ufficio per il processo non possono esercitare la giurisdizione civile e penale presso l’ufficio del giudice di pace.
4. Nel corso dei primi due anni dal conferimento dell’incarico i giudici onorari di pace devono essere assegnati all’ufficio per il processo e possono svolgere esclusivamente i compiti e le attività allo stesso inerenti.
5. Ai giudici onorari di pace inseriti nell’ufficio per il processo può essere assegnata, nei limiti e con le modalità di cui all’articolo 11, la trattazione di procedimenti civili e penali, di competenza del tribunale ordinario.

Art. 10
(Destinazione dei giudici onorari di pace nell’ufficio per il processo)

1. La proposta di assegnazione dei giudici onorari di pace all’ufficio per il processo del tribunale, nei limiti del numero dei giudici onorari di pace addetti all’ufficio per il processo in base al decreto di cui all’art. 3 comma 1, secondo periodo, è formulata dal presidente del tribunale secondo quanto previsto dal presente articolo e in conformità ai criteri obiettivi indicati in via generale con delibera del Consiglio superiore della magistratura, avendo riguardo, in particolare, alla funzionalità degli uffici giudiziari.
2. Il presidente del tribunale individua, almeno due volte l’anno, le posizioni da coprire nell’ufficio per il processo, tenuto conto anche delle assegnazioni in scadenza nei successivi sei mesi, e propone l’assegnazione d’ufficio a tale struttura organizzativa dei giudici onorari di pace che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 9, comma 4.
3. Il presidente del tribunale determina altresì le posizioni residue da pubblicare e dispone che se ne dia comunicazione a tutti i giudici onorari di pace del circondario ai fini della formulazione della domanda di assegnazione.
4. Il presidente, nel caso in cui vi siano più aspiranti, tenute presenti le esigenze di efficienza del tribunale e dell’ufficio del giudice di pace interessato, individua i magistrati da assegnare sulla base, nell’ordine, dei seguenti criteri di valutazione:
a) attitudine all’esercizio dei compiti e delle attività da svolgere, desunta dalla pregressa attività svolta dal magistrato onorario, dalla tipologia di affari trattati dal
medesimo, dalle esperienze professionali anche non giurisdizionali pregresse comprovanti le specifiche competenze in relazione all’incarico da assegnare, con preferenza per i magistrati che hanno maturato esperienze relative ad aree o materie uguali o omogenee;
b) tempo trascorso nello svolgimento dei compiti e delle attività inerenti all’ufficio;
c) collocazione nella graduatoria di ammissione al tirocinio.
5. In assenza di aspiranti, la scelta deve cadere su coloro ai quali è stato conferito l’incarico di magistrato onorario da minor tempo, anche se operanti in settori diversi da quello di destinazione, salvo che non vi ostino, sotto il profilo attitudinale od organizzativo, specifiche ragioni da indicare espressamente nella proposta di assegnazione.
6. L’assegnazione dei giudici onorari di pace all’ufficio per il processo del tribunale è disposta con il procedimento di cui all’art. 7 bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12; la proposta è trasmessa al consiglio giudiziario, che formula il proprio parere e inoltra gli atti al Consiglio superiore della magistratura per l’approvazione.
7. L’assegnazione d’ufficio disposta a norma del comma 2 cessa di produrre effetti alla scadenza del biennio di cui all’articolo 9, comma 4.
8. Il giudice onorario di pace non può essere inserito, a domanda, in altro ufficio per il processo del medesimo tribunale se non siano decorsi due anni dal giorno in cui ha effettivamente iniziato a svolgere l’attività presso l’ufficio per il processo al quale è assegnato. Nel caso in cui sia stato assegnato d’ufficio il termine è ridotto ad un anno.
9. L’assegnazione del giudice onorario di pace all’ufficio per il processo del tribunale può essere revocata per sopravvenute esigenze di funzionalità dell’ufficio del giudice di pace al quale il giudice onorario è addetto. Quando sono assegnati all’ufficio per il processo più giudici onorari di pace addetti all’ufficio del giudice di pace in relazione al quale sono sopravvenute le esigenze di cui al periodo precedente, alla revoca dell’assegnazione si provvede sulla base dei criteri di cui al comma 4 ovvero, in mancanza di domande, dei criteri previsti dal comma 5. Alla revoca si provvede con le modalità di cui al comma 6.
10. Il giudice onorario di pace coadiuva il giudice professionale a supporto del quale la struttura organizzativa è assegnata e, sotto la direzione e il coordinamento del giudice professionale, compie anche per i procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione collegiale, tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di quest’ultimo, provvedendo, in particolare, allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale ed alla predisposizione delle minute dei provvedimenti. Il giudice onorario può assistere alla camera di consiglio.
11. Il giudice professionale, con riferimento a ciascun procedimento civile e al fine di assicurarne la ragionevole durata, può delegare al giudice onorario di pace, inserito nell’ufficio per il processo, compiti e attività, anche relativi a procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione collegiale, purché non di particolare complessità, ivi compresa l’assunzione dei testimoni, affidandogli con preferenza il compimento dei tentativi di conciliazione, i procedimenti speciali previsti dagli art. 186-bis e 423, primo comma, del codice di procedure civile, nonché i provvedimenti di liquidazione dei compensi degli ausiliari e i provvedimenti che risolvono questioni semplici e ripetitive.
12. Al giudice onorario di pace non può essere delegata la pronuncia di provvedimenti definitori, fatta eccezione:
a) per i provvedimenti che definiscono procedimenti di volontaria giurisdizione, inclusi gli affari di competenza del giudice tutelare;
b) per i provvedimenti possessori;
c) per i provvedimenti che definiscono procedimenti in materia di previdenza e assistenza obbligatoria;
d) per i provvedimenti che definiscono procedimenti di impugnazione o di opposizione avverso provvedimenti amministrativi;
e) per i provvedimenti che definiscono cause relative a beni mobili di valore non superiore ad euro 50.000, nonché quelle relative al pagamento a qualsiasi
titolo di somme di denaro non eccedenti il medesimo valore;
f) per i provvedimenti che definiscono cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, purché il valore della controversia
non superi euro 100.000;
g) per i provvedimenti di assegnazione di crediti che definiscono procedimenti di espropriazione presso terzi, purché il valore del credito pignorato non
superi euro 50.000.
13. Il giudice onorario di pace svolge le attività delegate attenendosi alle direttive concordate col giudice professionale titolare del procedimento, anche alla luce dei criteri generali definiti all’esito delle riunioni di cui all’articolo 22. Il Consiglio superiore della magistratura individua le modalità con cui le direttive concordate sono formalmente documentate e trasmesse al capo dell’ufficio.
14. Il giudice onorario di pace, quando ritiene, in considerazione delle specificità del caso concreto, di non poter provvedere in conformità alle direttive ed ai criteri di cui al comma 12, riferisce al giudice professionale, il quale compie le attività già oggetto di delega.
15. Il giudice professionale esercita la vigilanza sull’attività svolta dal giudice onorario e, in presenza di giustificati motivi, dispone la revoca della delega a quest’ultimo conferita e ne dà comunicazione al presidente del tribunale.

Art. 11
(Assegnazione ai giudici onorari di pace dei procedimenti civili e penali)

1. Ai giudici onorari di pace che sono inseriti nell’ufficio per il processo e che non rientrano nella categoria indicata all’articolo 9 comma 4 può essere assegnata, nei limiti di cui al comma 5, la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni e, per situazioni straordinarie e contingenti, non si possono adottare misure organizzative diverse:
a) il tribunale o una sua sezione presenta vacanze di posti in organico, assenze non temporanee di magistrati o esoneri parziali o totali dal servizio giudiziario tali da ridurre di oltre il trenta per cento l’attività dei giudici professionali assegnati al tribunale o alla sezione;
b) il numero dei procedimenti civili pendenti rispetto ai quali è stato superato il termine di ragionevole durata di cui alla legge 19 marzo 2001, n. 89 è superiore di almeno il cinquanta per cento rispetto al numero complessivo dei procedimenti civili pendenti innanzi al medesimo tribunale ovvero il numero dei procedimenti penali rispetto ai quali è stato superato il predetto termine è superiore di almeno il quaranta per cento rispetto al numero complessivo dei procedimenti penali pendenti dinanzi al medesimo ufficio;
c) il numero medio dei procedimenti civili o penali pendenti per ciascun giudice professionale in servizio presso il tribunale, rilevato alla data del 30 giugno dell’anno
precedente, supera di almeno il settanta per cento il numero medio nazionale dei procedimenti pendenti per ciascun giudice professionale di tribunale in servizio alla stessa data, risultanti da apposite rilevazioni statistiche operate dal Ministero della giustizia sulla base dei criteri generali definiti di concerto con il Consiglio superiore della magistratura, distinguendo, ove possibile, per settori civile e penale, per materie, per rito e per dimensione degli uffici;
d) il numero medio dei procedimenti civili o penali sopravvenuti per ciascun giudice professionale in servizio presso il tribunale, rilevato alla data del 30 giugno dell’anno precedente, supera di almeno il settanta per cento il numero medio nazionale dei procedimenti sopravvenuti nello stesso periodo per ciascun giudice professionale di tribunale in servizio alla stessa data, risultanti da apposite rilevazioni statistiche operate dal Ministero della giustizia sulla base dei criteri generali definiti di concerto con il Consiglio superiore della magistratura, distinguendo, ove possibile, per settori civile e penale, per materie, per rito e per dimensioni degli uffici.
2. Quando la condizione di cui al comma 1, lettera a) ricorre per una sezione del tribunale, ai giudici onorari di pace possono essere assegnati esclusivamente i procedimenti devoluti alla medesima sezione.
3. L’individuazione dei giudici onorari ai quali assegnare la trattazione di procedimenti a norma del comma 1 è effettuata con i criteri di cui all’articolo 10, comma 4 ovvero, in mancanza di domande, previsti dal comma 5 del predetto articolo.
4. I criteri di assegnazione degli affari ai giudici onorari di pace a norma del presente articolo sono determinati nella proposta tabellare di cui all’art. 7-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.
5. In ogni caso, il numero dei procedimenti civili e penali assegnati a ciascun giudice onorario di pace a norma del presente articolo non può essere superiore ad un terzo del numero medio nazionale, rilevato distintamente per il settore civile e per quello penale, dei procedimenti pendenti per ciascun giudice professionale del tribunale.
6. Non possono essere assegnati, a norma del comma 1, ai giudici onorari di pace:
a) per il settore civile:
1. i procedimenti cautelari e possessori, fatta eccezione per le domande proposte nel corso della causa di merito e del giudizio petitorio
nonché dei procedimenti di competenza del giudice dell’esecuzione nei casi previsti dal secondo comma dell’articolo 615 e dal secondo
comma dell’articolo 617 nei limiti della fase cautelare;
2. i procedimenti di impugnazione avverso i provvedimenti del giudice di pace;
3. i procedimenti in materia di rapporti di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie;
4. i procedimenti in materia societaria e fallimentare;
5. i procedimenti in materia di famiglia;
b) per il settore penale:
1. i procedimenti diversi da quelli previsti dall’articolo 550 del codice di procedura penale;
2. le funzioni di giudice per le indagini preliminari;
3. i giudizi di appello avverso i provvedimenti emessi dal giudice di pace;
4. i procedimenti di cui all’articolo 558 del codice di procedura penale
e il conseguente giudizio.
7. L’assegnazione degli affari, in attuazione dei criteri di cui al comma 4, è effettuata dal presidente del tribunale non oltre la scadenza del termine perentorio di sei mesi dal verificarsi della condizione di cui alla lettera a) del comma 1 ovvero, relativamente alle condizioni di cui alle lettere b), c) e d) del medesimo comma, dalla pubblicazione dei dati di cui al comma 8 e può riguardare esclusivamente procedimenti pendenti a tale scadenza. Il provvedimento di assegnazione degli affari, corredato delle relative statistiche e degli altri documenti necessari a comprovare la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1, ivi compresa la non adottabilità
di misure organizzative diverse, è trasmesso, previo parere del Consiglio giudiziario nella composizione di cui all’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25, al Consiglio superiore della magistratura per l’approvazione.
L’assegnazione può essere mantenuta per un periodo non superiore a tre anni dalla scadenza del termine di cui al comma 7, anche quando siano venute meno le condizioni di cui al comma 1.
L’assegnazione non può essere nuovamente disposta, anche relativamente a giudici onorari di pace diversi, prima che siano decorsi tre anni dalla scadenza del triennio di cui al periodo precedente, salvo che nell’ipotesi di cui al comma 1 lettera a).
8. Entro il 31 dicembre di ogni anno, il Ministero della giustizia rende noti i dati necessari ai fini del comma 1.

Art. 12
(Destinazione dei giudici onorari di pace nei collegi civili e penali)

1. I giudici onorari di pace che sono inseriti nell’ufficio per il processo e rispetto ai quali non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 9, comma, 4, possono essere destinati a comporre i collegi civili e penali del tribunale, quando sussistono le condizioni di cui all’articolo 11 e secondo le modalità di cui al medesimo articolo. I provvedimenti di destinazione devono essere adottati entro la scadenza del termine perentorio di dodici mesi dal verificarsi della condizione di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a) ovvero, relativamente alle condizioni di cui alle lettere b), c) e d) del predetto comma, dalla pubblicazione dei dati di cui al comma 8 del medesimo articolo. Ai giudici onorari di pace destinati a comporre i collegi possono essere assegnati esclusivamente procedimenti pendenti a tale scadenza. La destinazione è mantenuta sino alla definizione dei relativi procedimenti. Del collegio non può far parte più di un giudice onorario di pace. In ogni caso, il giudice onorario di pace non può essere destinato, per il settore civile, a comporre i collegi giudicanti dei procedimenti in materia fallimentare e i collegi delle sezioni
specializzate e, per il settore penale, a comporre i collegi del tribunale del riesame ovvero qualora si proceda per i reati indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale.

Art. 13
(Destinazione in supplenza dei giudici onorari di pace)

1. Nei casi di assenza o impedimento temporanei del magistrato professionale, il giudice onorario di pace può essere destinato a compiti di supplenza, anche nella composizione dei collegi, del magistrato assente o impedito, sebbene non ricorrano le condizioni di cui all’articolo 11, comma 1.
L’individuazione del giudice onorario da destinare in supplenza è effettuata con i criteri di cui all’articolo 10, comma 5. In ogni caso, il giudice onorario di pace non può essere destinato in supplenza per ragioni relative al complessivo carico di lavoro ovvero alle vacanze nell’organico dei giudici professionali.

Art. 14
(Supplenze e applicazioni negli uffici del giudice di pace)

1. Fermi i divieti di cui all’articolo 5, nelle ipotesi di vacanza dell’ufficio del giudice di pace o di assenza o di impedimento temporanei di uno o più giudici onorari di pace, il presidente del tribunale può destinare in supplenza uno o più giudici onorari di pace di altro ufficio del circondario. Fuori dei casi di cui al periodo precedente, quando in un ufficio del giudice di pace del circondario ricorrono speciali esigenze di servizio, il presidente del tribunale può destinare in applicazione uno o più giudici onorari di pace di altro ufficio del circondario.
2. La scelta dei magistrati onorari da applicare a norma del comma 1 è operata sulla base dei criteri di cui all’articolo 10, comma 4, ovvero, in mancanza di domande, dei criteri previsti dal comma 5 del predetto articolo. L’applicazione è disposta con decreto motivato, sentita la sezione autonoma per i magistrati onorari del Consiglio giudiziario di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25. Copia del decreto è trasmessa al Consiglio superiore della magistratura e al Ministro della giustizia a norma dell’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916. Il parere della sezione autonoma per i magistrati onorari è espresso, sentito previamente l’interessato, nel termine perentorio di dieci giorni dalla richiesta.
3. L’applicazione non può superare la durata di un anno e, nei casi di necessità dell’ufficio al quale il giudice onorario di pace è applicato può essere rinnovata per un periodo non superiore ad un anno. In ogni caso, un’ulteriore applicazione del medesimo giudice onorario di pace non può essere disposta se non siano decorsi due anni dalla fine del periodo precedente.

Capo IV
Delle funzioni e dei compiti dei vice procuratori onorari

Art. 15
Organizzazione dell’ufficio dei viceprocuratori onorari

1. Il procuratore della Repubblica coordina l’ufficio dei vice procuratori onorari e, in particolare, distribuisce il lavoro, mediante il ricorso a procedure automatiche, tra i viceprocuratori onorari, vigila sulla loro attività e sorveglia l’andamento dei servizi di segreteria ed ausiliari.
2. Nello svolgimento dei compiti di cui al comma 1 il procuratore della Repubblica può avvalersi dell’ausilio di uno o più magistrati professionali, attribuendo loro il compito di vigilare sull’attività dei viceprocuratori onorari nelle materie delegate, nonché di fissare le direttive, i criteri e le prassi applicative emerse anche a seguito delle riunioni di coordinamento periodicamente indette.
3. Entro diciotto mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, il Ministero della giustizia mette a disposizione i programmi informatici necessari affinché la distribuzione del lavoro di cui al comma 1 sia compiuta mediante ricorso a procedure automatiche. I programmi informatici assicurano che l’assegnazione degli affari abbia luogo secondo criteri di trasparenza.

Art. 16
Funzioni e compiti dei vice procuratori onorari

1.Il vice procuratore onorario inserito nella struttura organizzativa di cui all’articolo 2:
a) coadiuva il magistrato professionale e, sotto la sua direzione e il suo coordinamento, compie tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giudiziaria da parte di quest’ultimo, provvedendo allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale ed alla predisposizione delle minute dei provvedimenti.
b) svolge le attività e adotta i provvedimenti a lui delegati secondo quanto previsto dall’articolo 17.
2. L’assegnazione dei vice procuratori onorari alla struttura organizzativa di cui all’articolo 2 ha luogo con provvedimento del procuratore della Repubblica, trasmesso alla sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario.
3. Nel corso del primo anno dal conferimento dell’incarico i vice procuratori onorari possono svolgere esclusivamente i compiti e le attività previste dal comma 1 lettera a).
4. Il magistrato professionale esercita la vigilanza sull’attività svolta dal vice procuratore onorario e, in presenza di giustificati motivi, dispone la revoca della delega a quest’ultimo conferita e ne dà comunicazione al procuratore della Repubblica.

Art. 17
Attività delegabili ai vice procuratori onorari

1. Nei procedimenti davanti al giudice di pace, le funzioni del pubblico ministero possono essere svolte, per delega del procuratore della Repubblica, dal vice procuratore onorario:
a) nell’udienza dibattimentale;
b) per gli atti previsti dagli articoli 15, 17 e 25 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.274;
c) nei procedimenti in camera di consiglio di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale, nei procedimenti di esecuzione ai fini dell’intervento di cui all’articolo 655, comma 2, del medesimo codice, e nei procedimenti di opposizione al decreto del pubblico ministero di liquidazione del compenso ai periti, consulenti tecnici e traduttori ai sensi dell’articolo 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319.
2. Nei casi indicati nel comma 1, la delega è conferita in relazione ad una determinata udienza o a un singolo procedimento.
3. Nei procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione monocratica, ad esclusione di quelli relativi ai delitti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, il vice procuratore onorario può svolgere, per delega del procuratore della Repubblica e secondo le direttive stabilite in via generale dal magistrato professionale che ne coordina le attività, le funzioni di pubblico ministero:
a) nell’udienza dibattimentale;
b) nell’udienza di convalida dell’arresto di cui all’articolo 558 del codice di procedura penale;
c) per la richiesta di emissione del decreto penale di condanna ai sensi degli articoli 459, comma 1, e 565 del codice di procedura penale;
d) nei procedimenti in camera di consiglio di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale.
4. Il vice procuratore onorario delegato può assumere le determinazioni relative all’applicazione della pena su richiesta nei procedimenti relativi ai reati per i quali l’azione penale è esercitata con decreto di citazione diretta ai sensi dell’articolo 550 comma 1 del codice di procedura penale, pur quando si proceda con giudizio direttissimo ai sensi del comma 6 dell’articolo 558 del codice di procedura penale, e in quelli iniziati con decreto di giudizio immediato conseguente ad opposizione a decreto penale.
5. Il vice procuratore onorario, nei procedimenti relativi ai reati indicati dall’articolo 550 comma 1 del codice di procedura penale, può redigere e avanzare richiesta di archiviazione, nonché svolgere compiti e attività, anche di indagine, ivi compresa l’assunzione di informazioni dalle persone informate sui fatti e l’interrogatorio della persona sottoposta ad indagini o imputata.
6. Il vice procuratore onorario si attiene nello svolgimento delle attività a lui direttamente delegate alle direttive periodiche menzionate all’articolo 15 comma 2 e può chiedere che l’attività e il provvedimento delegati siano svolti dal magistrato professionale titolare del procedimento se non ricorrono nel caso concreto le condizioni di fatto per provvedere in loro conformità.

Capo V
Della conferma nell’incarico

Art. 18
Durata dell’ufficio e conferma

1. L’incarico di magistrato onorario ha la durata di quattro anni. Alla scadenza, l’incarico può essere confermato, a domanda, per un secondo quadriennio.
2. L’incarico di magistrato onorario non può, comunque, essere svolto per più di otto anni complessivi, anche non consecutivi, includendo nel computo l’attività comunque svolta quale magistrato onorario, indipendentemente dal tipo di funzioni e compiti esercitati tra quelli disciplinati dal presente decreto.
3. In ogni caso, l’incarico cessa al compimento del sessantacinquesimo anno di età.
4. La domanda di conferma è presentata, a pena di inammissibilità, almeno sei mesi prima della scadenza del quadriennio, al capo dell’ufficio giudiziario presso il quale il magistrato onorario esercita la funzione. Relativamente all’ufficio del giudice di pace la domanda di conferma è presentata al presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l’ufficio. La domanda è trasmessa alla sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25.
5. Unitamente alla domanda, sono trasmessi alla sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario:
a) un rapporto del capo dell’ufficio o del coordinatore dell’ufficio del giudice di pace sull’attività` svolta e relativo alla capacità, alla laboriosità, alla diligenza, all’impegno ed ai requisiti dell’indipendenza, dell’imparzialità e dell’equilibrio nonché sulla partecipazione alle riunioni periodiche di cui al successivo articolo 22 commi 1 e 2;
b) copia degli atti e dei provvedimenti esaminati ai fini della redazione del rapporto di cui alla lettera a);
c) le relazioni redatte dai magistrati professionali che il magistrato onorario coadiuva a norma degli articoli 10, comma 10 e dell’articolo 16, comma 1;
d) l’autorelazione del magistrato onorario;
e) le statistiche comparate sull’attività svolta, distinte per tipologie di procedimenti e di provvedimenti, ed ogni altro documento ritenuto utile.
6. Ai fini della redazione del rapporto di cui al comma 5, lettera a), sono esaminati, a campione, almeno venti verbali di udienza e venti provvedimenti, relativi al periodo oggetto di valutazione. La sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario stabilisce i criteri per la selezione dei verbali di udienza e dei provvedimenti.
7. Almeno due mesi prima della scadenza del quadriennio, la sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario, acquisiti i documenti di cui al comma 5, il parere di cui al comma 8, lettera c) e la attestazione della struttura della formazione decentrata di cui all’articolo 22, comma 3, esprime, con riguardo al magistrato onorario che ha presentato domanda di conferma, se necessario previa audizione dell’interessato, un giudizio di idoneità a svolgere le funzioni e lo trasmette al Consiglio superiore della magistratura.
8. Il giudizio è espresso a norma dell’articolo 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, in quanto compatibile, ed è reso sulla base degli elementi di cui ai commi 5 e 6, nonché dei seguenti, ulteriori elementi:
a) l’effettiva partecipazione alle attività di formazione organizzate ai sensi dell’articolo 22, comma 3, salvo che l’assenza dipenda da giustificato motivo;
b) l’effettiva partecipazione alle riunioni periodiche di cui all’articolo 22;
c) il parere del consiglio dell’ordine territoriale forense del circondario in cui ha sede l’ufficio presso il quale il magistrato onorario ha esercitato le funzioni, nel quale
sono indicati i fatti specifici incidenti sulla idoneità a svolgere le funzioni, con particolare riguardo, se esistenti, alle situazioni concrete e oggettive di esercizio non
indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica.
9. Il Consiglio superiore della magistratura, acquisito il giudizio di cui al comma 7, delibera sulla domanda di conferma.
10. Il Ministro della giustizia dispone la conferma con decreto.
11. E’ valutato negativamente ai fini della conferma nell’incarico l’aver privilegiato la definizione di procedimenti di natura seriale, salvo che non risponda a specifiche esigenze dell’ufficio.
12. I magistrati onorari che hanno in corso la procedura di conferma nell’incarico rimangono in servizio fino alla definizione della procedura di cui al presente articolo. La procedura di conferma deve definirsi entro dodici mesi dalla scadenza del quadriennio. Se la conferma non è disposta nel rispetto del termine di cui al periodo precedente, il magistrato onorario non può esercitare le funzioni giudiziarie onorarie, né svolgere i compiti e le attività previsti
dalle disposizioni di cui ai Capi III e IV del presente decreto, con sospensione dall’indennità, sino all’adozione del decreto di cui al comma 10.
13 La conferma dell’incarico produce effetti con decorrenza dal primo giorno successivo alla scadenza del quadriennio già decorso. In caso di mancata conferma, i magistrati onorari in servizio a norma del comma 12, primo periodo, cessano dall’incarico dal momento della comunicazione del relativo provvedimento del Consiglio superiore della magistratura.
14. Ai magistrati onorari che hanno esercitato per otto anni le funzioni e i compiti attribuitigli è riconosciuta preferenza, a parità di merito, a norma dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, nei concorsi indetti dalle amministrazioni dello Stato.

Capo VI
Dell’astensione e della ricusazione

Art. 19
(Astensione e ricusazione)

1. Con riguardo ai procedimenti civili, il giudice onorario di pace ha l’obbligo di astenersi nei casi previsti dall’articolo 51, primo comma, del codice di procedura civile e può essere ricusato, a norma dell’articolo 52 del medesimo codice. Ha altresì l’obbligo di astenersi e può essere ricusato quando egli o il coniuge o la parte dell’unione civile, il convivente, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado, sono stati associati o in qualunque modo collegati con lo studio professionale di cui ha fatto o fa parte il difensore di una delle parti.
2. Con riguardo ai procedimenti penali, il giudice onorario di pace ha l’obbligo di astenersi nei casi previsti dall’articolo 36 del codice di procedura penale e può essere ricusato, a norma dell’articolo 37 del medesimo codice. Ha altresì l’obbligo di astenersi e può essere ricusato quando egli o il coniuge o la parte dell’unione civile, il convivente, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado, sono stati associati o comunque collegati con lo studio professionale di cui ha fatto o fa parte il difensore di una delle parti.
3. Il giudice onorario di pace ha inoltre l’obbligo di astenersi e può essere ricusato quando egli o il coniuge o la parte dell’unione civile o il convivente ha in precedenza assistito, nella qualità di avvocato, una delle parti in causa o uno dei difensori, ovvero egli o il coniuge o la parte
dell’unione civile o il convivente ha svolto attività professionale nella qualità di notaio per una delle parti in causa o uno dei difensori. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche quando l’attività professionale è stata svolta da un avvocato o da un notaio che fa parte dell’associazione professionale, della società tra professionisti o dello studio associato a cui partecipa il giudice onorario.
4. Il giudice onorario di pace ha l’obbligo di astenersi anche in ogni caso in cui egli, il coniuge o la parte dell’unione civile, il convivente, i parenti fino al secondo grado abbia avuto o abbia rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione con una delle parti. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche quando il rapporto di lavoro autonomo o di collaborazione è intercorso tra la parte e un soggetto che fa parte dell’associazione professionale, della società tra professionisti o dello studio associato a cui partecipa il giudice onorario.
5. Il vice procuratore onorario ha l’obbligo di astenersi nei casi di cui al presente articolo.

Capo VII
Dei doveri del magistrato onorario, della decadenza, della dispensa e della revoca

Art. 20
(Doveri del magistrato onorario)

1. Il magistrato onorario è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari, in quanto compatibili e in particolare esercita le funzioni e i compiti attribuitigli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni.

Art. 21
(Decadenza, dispensa e revoca)

1. Il magistrato onorario decade dall’incarico quando viene meno taluno dei requisiti necessari per essere ammesso alle funzioni e ai compiti ad esso relativi, per dimissioni volontarie ovvero quando sopravviene una causa di incompatibilità.
2. Il magistrato onorario è dispensato, anche d’ufficio, per impedimenti di durata superiore a sei mesi.
Per impedimenti di durata non superiore a sei mesi, l’esecuzione dell’incarico rimane sospesa senza diritto all’indennità prevista dall’articolo 23.
3. Il magistrato onorario è revocato dall’incarico in ogni caso in cui risulta l’inidoneità ad esercitare le funzioni giudiziarie o i compiti dell’ufficio del processo; in particolare è revocato quando, senza giustificato motivo, ha conseguito risultati che si discostano gravemente dagli obiettivi prestabiliti al presidente del tribunale o dal procuratore della Repubblica a norma dell’articolo 23 ovvero, nel caso di assegnazione di procedimenti civili o penali a norma dell’articolo 11, non ha definito, nel
termine di tre anni dall’assegnazione, un numero significativo di procedimenti, secondo le determinazioni del Consiglio superiore della magistratura.
4. Costituiscono, tra l’altro, circostanze di fatto rilevanti ai fini della valutazione di inidoneità di cui al comma 3:
a) l’adozione di provvedimenti non previsti dalla legge ovvero fondati su grave violazione di legge o travisamento del fatto, determinati da ignoranza o negligenza;
b) l’adozione di provvedimenti affetti da palese e intenzionale incompatibilità tra la parte dispositiva e la motivazione, tali da manifestare una e inequivocabile contraddizione sul piano logico, contenutistico o argomentativo;
c) la scarsa laboriosità o il grave e reiterato ritardo nel compimento degli atti relativi allo svolgimento delle funzioni ovvero nell’adempimento delle attività e dei compiti a lui devoluti;
d) l’assenza reiterata, senza giustificato motivo, alle riunioni periodiche di cui all’articolo 22, commi 1, 2 e 4 nonché alle iniziative di formazione di cui al comma 3 del predetto articolo.
5. La revoca è altresì disposta quando il magistrato onorario tenga in ufficio o fuori una condotta tale da compromettere il prestigio delle funzioni attribuitegli.
6. Il capo dell’ufficio comunica immediatamente al presidente della corte di appello o al procuratore generale presso la medesima corte ogni circostanza di fatto rilevante ai fini della decadenza, della dispensa o della revoca.
7. Relativamente all’ufficio del giudice di pace la comunicazione di cui al comma 6 è effettuata dal presidente del tribunale.
8. Il magistrato professionale che il magistrato onorario coadiuva a norma dell’articolo 10, comma 10, e dell’articolo 16 comma 1 comunica al capo dell’ufficio ogni circostanza di fatto rilevante per l’adozione dei provvedimenti di cui al presente articolo.
9. Nei casi di cui al presente articolo, con esclusione delle ipotesi di dimissioni volontarie, il presidente della corte d’appello, per i giudici onorari di pace, o il procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello, per i vice procuratori onorari, propone alla sezione autonoma per i magistrati
onorari del consiglio giudiziario di cui all’articolo 10 del decreto legislativo n. 25 del 2006 la decadenza, la dispensa o revoca. La sezione autonoma, sentito l’interessato e verificata la fondatezza della proposta, trasmette gli atti al Consiglio superiore della magistratura affinché
deliberi sulla proposta di decadenza, di dispensa o di revoca.
10. Il Ministro della giustizia dispone la decadenza, la dispensa e la revoca con decreto.

Capo VIII
Delle riunioni periodiche e della formazione permanente

Art. 22
(Formazione dei magistrati onorari)

1. I giudici onorari di pace partecipano alle riunioni trimestrali organizzate dal presidente del tribunale o, su delega di quest’ultimo, da un presidente di sezione o da un giudice professionale, per l’esame delle questioni giuridiche più rilevanti di cui abbiano curato la trattazione, per la discussione delle soluzioni adottate e per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi innovative; alle predette riunioni partecipano anche i giudici professionali che si occupano delle materie di volta in volta esaminate.
2. I vice procuratori onorari partecipano alle riunioni trimestrali organizzate dal procuratore della Repubblica o da un procuratore aggiunto o da un magistrato professionale da lui delegato, per l’esame delle questioni giuridiche più rilevanti di cui abbiano curato la trattazione, per la discussione delle soluzioni adottate e per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi innovative; alle predette riunioni partecipano anche i magistrati professionali che si occupano delle materie di volta in volta esaminate.
3. Sono tenuti, con cadenza almeno semestrale, corsi di formazione specificamente dedicati ai giudici onorari di pace e ai vice procuratori onorari, organizzati dalla Scuola superiore della magistratura nel quadro delle attività di formazione della magistratura onoraria di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 26 del 2006, avvalendosi della rete della formazione decentrata di cui alla lettera f) del comma 1 del predetto articolo. Gli ordini professionali ai quali i magistrati onorari risultino eventualmente iscritti riconoscono che la partecipazione ai corsi di cui al presente comma integra assolvimento degli obblighi formativi previsti dai rispettivi ordinamenti. La struttura della formazione decentrata attesta l’effettiva partecipazione del magistrato onorario alle attività di formazione e trasmette l’attestazione alla sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario in occasione della formulazione del giudizio di cui all’articolo 18.
4. I giudici onorari di pace inseriti nell’ufficio per il processo a norma dell’articolo 10, destinati nei collegi a norma dell’articolo 12 o assegnatari di procedimenti di competenza del tribunale ai sensi dell’articolo 11, partecipano alle riunioni convocate ai sensi dell’art. 47-quater del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 per la trattazione delle materie di loro interesse.
5. La partecipazione alle riunioni periodiche di cui al presente articolo e alle iniziative di formazione è obbligatoria.

Capo IX
Delle indennità e del regime previdenziale e assistenziale

Art. 23
(Indennità spettante ai magistrati onorari)

1. L’indennità spettante ai magistrati onorari si compone di una parte fissa e di una parte variabile di risultato.
2. Ai magistrati onorari che esercitano funzioni giudiziarie è corrisposta, con cadenza trimestrale, un’indennità annuale lorda in misura fissa, pari ad euro 16.140,00, comprensiva degli oneri previdenziali ed assistenziali.
3. Ai giudici onorari di pace e ai vice procuratori onorari inseriti rispettivamente nell’ufficio per il processo e nell’ufficio dei vice procuratori onorari che svolgono i compiti e le attività di cui agli articoli 10 e 16, comma 1, lettera a), l’indennità di cui al comma 2 è corrisposta nella misura dell’80 per cento.
4. Le indennità previste ai commi 2 e 3 non sono tra loro cumulabili.
5. Quando il magistrato onorario svolge sia le funzioni giudiziarie che i compiti e le attività di cui al comma 3, l’indennità fissa è corrisposta nella misura prevista dal comma 2 o dal comma 3, in considerazione delle funzioni ovvero dei compiti e delle attività svolti in via prevalente.
6. Il presidente del tribunale, con provvedimento da adottare entro il 30 gennaio di ogni anno, tenuto conto della media di produttività dei magistrati dell’ufficio o della sezione e dei principi e degli obiettivi delineati dalle tabelle di organizzazione dell’ufficio e, per il tribunale, dai programmi di gestione adottati ai sensi dell’art. 37 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, assegna ai magistrati onorari gli obiettivi da raggiungere nell’anno solare, sia con riguardo all’esercizio della giurisdizione presso l’ufficio del giudice di pace che ai compiti e alle funzioni assegnati ai sensi degli articoli 10, 11 e 12, attenendosi ai criteri oggettivi fissati, in via generale, con delibera del Consiglio superiore della magistratura. Il provvedimento adottato a norma del presente comma è comunicato alla sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario, di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25.
7. Il procuratore della Repubblica, con provvedimento da adottare entro il 30 gennaio di ogni anno, tenuto conto della media di produttività dei magistrati dell’ufficio assegna ai vice procuratori onorari gli obiettivi da raggiungere nell’anno solare, sia con riguardo alle funzioni di cui all’articolo 16, comma 1, lettera b) che ai compiti e alle attività di cui all’articolo 16, comma 1, lettera a), attenendosi ai criteri obiettivi fissati con la delibera di cui al comma 6. Il provvedimento adottato a norma del presente comma è comunicato alla sezione autonoma per i magistrati onorari del consiglio giudiziario, di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25.
8. Con la delibera di cui al comma 6 sono individuate le procedure per la valutazione della realizzazione degli obiettivi.
9. L’indennità di risultato può essere riconosciuta in misura non inferiore al quindici per cento e non superiore al trenta per cento dell’indennità fissa spettante a norma dei commi 2 o 3 ed è erogata in tutto o in parte in relazione al livello di conseguimento degli obiettivi assegnati a norma del presente articolo, verificato e certificato con le modalità di cui al comma 10.
10. Con cadenza annuale il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica, verificato, con la procedura indicata nella delibera di cui al comma 6, il livello di conseguimento degli obiettivi assegnati, adottano uno specifico provvedimento con cui certificano il grado di conseguimento dei risultati e propongono la liquidazione dell’indennità di risultato indicandone la misura. Con il medesimo provvedimento il presidente del tribunale o il procuratore della Repubblica attestano se il magistrato onorario esercita le funzioni giudiziarie o svolge i compiti e le attività di cui al comma 3 ovvero, nel caso di cui al comma 5, indicano le incombenze svolte in via prevalente. Il provvedimento è immediatamente esecutivo e ne è data comunicazione alla sezione autonoma del Consiglio giudiziario di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 e, ai fini del pagamento dell’indennità, al presidente della Corte di appello o al procuratore generale presso la medesima Corte.
11. Per l’esercizio delle funzioni e dei compiti previsti dal presente decreto è dovuta esclusivamente l’indennità di cui al presente articolo.

Art. 24
(Attività dei magistrati onorari durante il periodo feriale)

1. I magistrati onorari non prestano attività durante il periodo feriale di cui all’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, salvo che ricorrano specifiche esigenze d’ufficio; in tal caso, è riconosciuto il diritto di non prestare attività nel periodo ordinario per un corrispondente numero di giorni. L’indennità prevista dall’articolo 23 è corrisposta anche durante il periodo di cui al presente articolo.

Art. 25
(Tutela della gravidanza, malattia e infortunio. Iscrizione alla gestione separata presso l’INPS)

1. La malattia e l’infortunio dei magistrati onorari non comportano la dispensa dall’incarico, la cui esecuzione rimane sospesa, senza diritto all’indennità prevista dall’articolo 23, per un periodo non superiore a quello previsto dall’articolo 21, comma 2.
2. La gravidanza non comporta la dispensa dall’incarico, la cui esecuzione rimane sospesa, senza diritto all’indennità prevista dall’articolo 23, durante i due mesi precedenti la data presunta del parto e nel corso dei tre mesi dopo il parto o, alternativamente, a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto.
3. Ai fini della tutela previdenziale e assistenziale, i giudici onorari di pace e i vice procuratori onorari sono iscritti alla Gestione Separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335. Per il versamento del contributo si applicano le modalità ed i termini previsti per i lavoratori autonomi di cui all’articolo 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, iscritti alla gestione separata.
4. Le disposizioni del comma 3 non si applicano agli iscritti agli albi forensi che svolgono le funzioni di giudice onorario di pace o di vice procuratore onorario, per i quali si applicano le disposizioni contenute nel regolamento di attuazione dell’articolo 21, commi 8 e 9, della legge n. 247 del 2012.

Art. 26
(Modifiche al testo unico delle imposte sui redditi)

1. Al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 50, comma 1, lettera f), le parole: “ai giudici di pace e” sono soppresse;
b) all’articolo 53, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo la lettera f), è aggiunta la seguente: “f-bis) le indennità corrisposte ai giudici onorari di pace e ai vice procuratori onorari.”;
c) all’articolo 54, comma 8, è aggiunto, in fine il seguente periodo: “I redditi indicati alla lettera f-bis) del comma 2 dell’articolo 53 sono costituiti dall’ammontare delle indennità in denaro o in natura percepite nel periodo di imposta”.

Capo X
Dell’ampliamento della competenza dell’ufficio del giudice di pace

Art. 27
(Ampliamento della competenza del giudice di pace in materia civile)

1. Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al libro primo sono apportate le seguenti modificazioni:
1) all’articolo 7, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, la parola “cinquemila” è sostituita dalle seguente: “trentamila”;
b) al secondo comma, la parola “ventimila” è sostituita dalla seguente: “cinquantamila”;
c) al terzo comma sono apportate le seguenti modificazioni:
1) il numero 1) è sostituito dal seguente: “1) per le cause relative ad apposizione di termini;”;
2) il numero 2) è sostituito dal seguente: “2) per le cause in materia di condominio negli edifici, come definite ai sensi dell’articolo 71-quater delle disposizioni per l’attuazione del codice civile;”;
3) dopo il numero 3-bis, sono aggiunti i seguenti:
“3-ter) per le cause nelle materie di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, Sezione VI del codice civile, fatta eccezione per quella delle distanze nelle costruzioni;
3-quater) per le cause relative alle materie di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, Sezione VII del codice civile, fatta eccezione per quella delle distanze di cui agli articoli 905, 906 e 907 del medesimo codice;
3-quinquies) per le cause in materia di stillicidio e di acque di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, sezioni VIII e IX del codice civile;
3-sexeis) per le cause in materia di occupazione e di invenzione di cui al libro terzo, titolo II, Capo III, sezione I del codice civile;
3-septies) per le cause in materia di specificazione, unione e commistione di cui al libro terzo, titolo II, Capo III, sezione II del codice civile;
3-octies) per le cause in materia di enfiteusi di cui al libro terzo, titolo IV del codice civile;
3-novies) per le cause in materia di usufrutto, uso e abitazione di cui al libro terzo, titolo V del codice civile;
3-decies) per le cause in materia di esercizio delle servitù prediali;
3-undecies) per le cause di impugnazione del regolamento e delle deliberazioni di cui agli articoli 1107 e 1109 del codice civile;
3-duodecies) per le cause in materia di diritti ed obblighi del possessore nella restituzione della cosa, di cui al libro terzo, titolo VIII, Capo II, Sezione I del codice civile.”
d) dopo il terzo comma sono aggiunti, in fine, i seguenti:
“Il giudice di pace è altresì competente, purché il valore della controversia non sia superiore a trentamila euro:
1) per le cause in materia di usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari;
2) per le cause in materia di riordinamento della proprietà rurale di cui al libro terzo, titolo II, Capo II, sezione II del codice civile;
3) per le cause in materia di accessione ;
4) per le cause di cui agli articoli 948 e 949 del codice civile;
5) per le cause di regolamento di confini;
6) per le cause in materia di superficie;
7) per le cause in materia di costituzione, acquisto ed estinzione delle servitù prediali, nonché di accertamento della servitù di cui all’articolo 1079 del codice civile;
8) per le cause di impugnazione della divisione che ha per oggetto beni immobili di cui all’articolo 1113 del codice civile;
9) per le cause di scioglimento di comunione su beni immobili.
Quando una causa di competenza del giudice di pace a norma dei commi terzo, numeri da 3-ter) a 3-duodecies), e quarto è proposta, contro la stessa parte, congiuntamente ad un’altra causa di competenza del tribunale, le relative domande, anche in assenza di altre ragioni di connessione, sono proposte innanzi al tribunale affinché siano decise nello stesso processo.
2) dopo l’articolo 16 è inserito il seguente:
“Art. 16-bis
(Esecuzione forzata)
Per l’espropriazione forzata di cose mobili è competente il giudice di pace.
Per l’espropriazione forzata di cose immobili e di crediti è competente il tribunale.
Se cose mobili sono soggette all’espropriazione forzata insieme con l’immobile nel quale si trovano, per l’espropriazione è competente il tribunale anche relativamente ad esse.
Per la consegna e il rilascio di cose nonché per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è competente il tribunale.”
3) all’articolo 113, secondo comma, le parole “millecento” sono sostituite dalle seguenti: “duemilacinquecento”;
b) al libro terzo, titolo II, Capo II, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) all’articolo 513, terzo comma, le parole “presidente del tribunale o un giudice da lui delegato” sono sostituite dalle seguenti: “Il giudice di pace”;
2) all’articolo 518, sesto comma, la parola “tribunale” è sostituita dalla seguente: “giudice di pace”;
3) all’articolo 519, primo comma, le parole” presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato” sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace”;
4) all’articolo 520, primo comma, la parola “tribunale” è sostituita dalla seguente: “giudice di pace”;
5) all’articolo 521-bis, quinto comma, la parola “tribunale” è sostituita dalla seguente: “giudice di pace”;
6) all’articolo 543, la parola “tribunale”, ovunque ricorra, è sostituita dalla seguente: “giudice”.
c) al libro quarto, titolo IV, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) all’articolo 747, primo comma, le parole: “con ricorso diretto al tribunale” sono sostituite dalle seguenti: “con ricorso diretto per i mobili al giudice di pace e per gli immobili al tribunale”;
2) all’articolo 749, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le parole “al tribunale” sono sostituite dalle seguenti: “al giudice di pace”;
b) al terzo comma, le parole “, del quale non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato,” sono soppresse;
3) all’articolo 763, primo comma, dopo le parole “dal giudice” sono inserite le seguenti”: “di pace”;
4) all’articolo 764, primo comma, dopo le parole “al giudice” sono inserite le seguenti: “di pace”;
5) all’articolo 765, secondo comma, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, dopo le parole “dal cancelliere” sono inserite le seguenti: “del giudice di pace”;
b) il secondo periodo è soppresso;
6) all’articolo 769, la parola “tribunale” è sostituita, ovunque ricorra, dalla seguente “giudice di pace”;
2.Al codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al libro secondo, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) all’articolo 485, primo comma, secondo periodo, la parola “tribunale” è sostituita dalle seguenti: “giudice di pace”;
2) all’articolo 528, primo comma, le parole “tribunale del circondario” sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace del luogo” ;
3) all’articolo 529, le parole “del tribunale” sono sostituite dalle seguenti: “del giudice di pace”;
4) all’articolo 530, primo comma, le parole “del tribunale” sono sostituite dalle seguenti: “del giudice di pace”
5) all’articolo 620 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al secondo comma, le parole “tribunale del circondario” sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace del luogo”;
2) al sesto comma, la parola “tribunale” è sostituita dalle seguenti: “giudice di pace”;
6) all’articolo 621, primo comma, le parole “tribunale del circondario” sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace del luogo”;
7) all’articolo 736, secondo comma, la parola “tribunale” è sostituita dalle seguenti: “giudice di pace”.
b) al libro quarto, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) all’articolo 1211 la parola “tribunale” è sostituita dalle seguenti: “giudice di pace”;
2) all’articolo 1514, primo comma, la parola “tribunale” è sostituita dalle seguenti: “giudice di pace”;
3) all’articolo 1515, terzo comma, le parole “dal tribunale” sono sostitute dalle seguenti: “dal giudice di pace”;
4) all’articolo 1841, la parola “tribunale” è sostituita, ovunque ricorra, con la seguente: “giudice di pace”.
3. Alle disposizioni per l’attuazione del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 51-bis, le parole “528, primo comma, 529 e 530, primo comma,” e le parole “620, secondo e sesto comma, 621, primo comma,”, nonché le parole “e 736, secondo comma,” sono soppresse;
b) dopo l’articolo 51-bis è aggiunto il seguente:
“51-ter I provvedimenti di cui agli articoli 639, 640 e 642 del codice sono adottati dal giudice di pace.”;
c) all’articolo 57, il primo comma è sostituito dal seguente: “Le azioni previste dall’articolo 849 del codice sono di competenza del tribunale, in quanto non siano di competenza del giudice di pace a norma dell’articolo 7, quarto comma, del codice di procedura civile.”
d) all’articolo 57-bis, le parole: “tribunale in composizione monocratica” sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace”;
e) all’articolo 59, le parole “presidente del tribunale”, ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace” e le parole “presidente della corte di appello” sono sostituite dalle seguenti: “tribunale”;
f) dopo l’articolo 60 sono aggiunti i seguenti:
“60-bis. Le domande previste dall’articolo 1105, terzo comma, del codice si propongono con ricorso al giudice di pace.
60-ter . Sull’impugnazione del regolamento e delle deliberazioni, di cui agli articoli 1107 e 1109 del codice, è competente il giudice di pace.”;
g) all’articolo 64, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al primo comma, le parole: “il tribunale” sono sostituite dalle seguenti: “il giudice di pace”;
2) il secondo comma è sostituito dal seguente: “Contro il provvedimento del giudice di pace può essere proposto reclamo in tribunale entro dieci giorni dalla
notificazione o dalla comunicazione.”
h) l’articolo 73-bis è abrogato;
i) all’articolo 77, secondo comma, la parola “pretore” è sostituita dalle seguenti: “giudice di pace”;
l) all’articolo 79, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al primo comma, le parole “dal presidente del tribunale” sono sostituite dalle seguenti: “dal giudice di pace”;
2) il secondo comma è sostituito dal seguente: “Il giudice di pace provvede con decreto, sentito il creditore. Contro tale decreto è ammesso reclamo a norma dell’articolo 739 del codice di procedura civile.”
4.All’articolo 17, comma 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108 le parole “presidente del tribunale” sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace”.
5.All’articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 le parole “la corte di appello” sono sostituite dalle seguenti: “il tribunale”.

Art. 28
(Ampliamento della competenza del giudice di pace in materia tavolare)

1. Al regio decreto 28 marzo 1929 n. 499 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 13 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al primo comma, dopo la parola “autenticata” sono inserite le parole “presentato, anche con modalità telematiche, presso l’ufficio tavolare del giudice del luogo in cui si è aperta la successione” e le parole “al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui si è aperta la successione” sono soppresse;
2) al secondo comma, le parole “al tribunale in composizione monocratica,” sono sostituite dalle parole “con ricorso presentato, anche con modalità telematiche, presso l’ufficio tavolare del giudice”;
3) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
“La parte che presenta il ricorso a norma dei commi primo e secondo è tenuta a depositare presso l’ufficio tavolare la somma dovuta a titolo di contributo unificato a norma dell’articolo 13, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.
Il conservatore deposita, ove possibile con modalità telematiche, presso l’ufficio del giudice di pace i ricorsi con i quali viene chiesto un certificato ereditario di cui all’articolo 15, in relazione ai quali ha emesso una valutazione di piena concordanza tavolare.
Nei casi diversi da quelli di cui al sesto comma e quando è richiesto un certificato di legato, il conservatore deposita, ove possibile con modalità telematiche, il ricorso presso il tribunale ordinario. Il tribunale provvede in composizione monocratica.
Al momento del deposito del ricorso a norma dei commi sesto e settimo, il conservatore provvede, in luogo della parte ricorrente, al pagamento del contributo unificato.
Qualora il ricorrente non abbia depositato la somma di cui al quinto comma, il conservatore provvede comunque al deposito del ricorso ai sensi dei commi sesto e settimo e l’importo dovuto a titolo di contributo unificato è recuperato, in danno della parte ricorrente, a norma delle disposizioni di cui all’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e di cui alla parte VII, titolo VII, del medesimo decreto.”;
b) all’articolo 16 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al primo comma, le parole “tribunale in composizione monocratica” sono sostituite dalla seguente: “giudice”;
2) al secondo comma, le parole “tribunale in composizione monocratica” sono sostituite dalla seguente: “giudice”;
c) all’articolo 17, primo comma, le parole “tribunale in composizione monocratica” sono sostituite dalla seguente: “giudice”;
d) all’articolo 20, primo comma, le parole “tribunale in composizione monocratica” sono sostituite dalla seguente: “giudice”;
e) all’articolo 22, primo comma, le parole “al tribunale in composizione monocratica” sono sostituite dalla seguenti: “presentato all’ufficio tavolare del giudice”;
f) all’articolo 23, primo comma, le parole “tribunale in composizione monocratica” sono sostituite dalla seguente: “giudice”;
g) all’allegato, denominato “Nuovo testo della legge generale sui libri fondiari”, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) dopo l’articolo 95-bis è inserito il seguente:
“Art. 95 ter. – Sono emessi dal giudice di pace, a condizione che il conservatore abbia espresso una valutazione di piena concordanza tavolare, i decreti tavolari relativi a:
a) contratti, stipulati per atto notarile, che abbiano per effetto il trasferimento, anche non immediato, della proprietà di un immobile o di altro diritto reale immobiliare, in relazione ai quali è concesso un finanziamento da parte di una banca o di altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico, garantito da ipoteca sull’immobile trasferito;
b) ipoteche volontarie costituite, mediante atto ricevuto da notaio, a garanzia di finanziamenti concessi da una banca o altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico.”
2) all’articolo 130 ter, dopo le parole “giudice tavolare,” sono inserite le seguenti “nonché avverso il decreto tavolare emesso dal giudice di pace”.

Art. 29
(Ampliamento della competenza del giudice di pace in materia penale)

1. All’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, lettera a):
1) dopo le parole «612, primo» sono inserite le seguenti: «e secondo»;
2) prima delle parole «626, 627, 631,» sono inserite le seguenti: «salvo che sussistano
altre circostanze aggravanti,»;
b) al comma 1, lettera b):
1) dopo le parole «previste dagli articoli» sono inserite le seguenti: «651,»;
2) dopo le parole «726, primo comma,» sono inserite le seguenti: «727, 727 bis»;
c) al comma 2, dopo la lettera s ter è aggiunta la seguente: «s-quater) articolo 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283.

Capo XI
Disposizioni relative ai magistrati onorari in servizio

Art. 30
(Durata dell’incarico dei magistrati onorari in servizio)

1. I magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere confermati, alla scadenza del primo quadriennio di cui al decreto legislativo n. 31 maggio 2016, n. 92 o di cui all’articolo 33, comma 9, a domanda e a norma dell’articolo 18, commi da 4 a 14, per ciascuno dei tre successivi quadrienni.
2. In ogni caso, l’incarico cessa al compimento del sessantottesimo anno di età.

Art. 31
(Funzioni e compiti dei magistrati onorari in servizio)

1. Sino alla scadenza del quarto anno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, il presidente del tribunale:
a) può assegnare, con le modalità e in applicazione dei criteri di cui all’articolo 10, all’ufficio per il processo del tribunale i giudici onorari di pace già in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto come giudici onorari di tribunale e, a domanda, quelli già in servizio alla medesima data come giudici di pace;
b) può assegnare, anche se non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 11, comma 1 e nel rispetto del comma 7 del predetto articolo e delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura, la trattazione dei nuovi procedimenti civili e penali di competenza del tribunale esclusivamente ai giudici onorari di pace in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto come giudici onorari di tribunale;
c) assegna la trattazione dei procedimenti civili e penali di nuova iscrizione e di competenza dell’ufficio del giudice di pace esclusivamente ai giudici onorari di pace già in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto come giudici di pace, compresi coloro che risultano assegnati all’ufficio per il processo a norma della lettera a) del presente comma.
2. I giudici onorari di pace assegnati all’ufficio per il processo a norma del comma 1, lettera a) possono svolgere i compiti e le attività di cui all’articolo 10.
3. Sino alla scadenza del termine di cui al comma 1, i giudici onorari di pace in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto come giudici onorari di tribunale possono essere destinati a comporre i collegi civili e penali del tribunale secondo quanto previsto dall’articolo 12, anche quando non sussistono le condizioni di cui all’articolo 11, comma 1.
4. Il Consiglio superiore della magistratura stabilisce il numero minimo dei procedimenti da trattare nell’udienza tenuta dal giudice onorario di pace, inclusi quelli delegati.
5. Nel corso del quarto mandato:
a) i giudici onorari di pace in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto sono inseriti nell’ufficio per il processo e possono svolgere esclusivamente i compiti e le attività allo stesso inerenti a norma dell’articolo 10;
b) i vice procuratori onorari in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto possono svolgere esclusivamente i compiti e le attività di cui all’articolo 16, comma 1, lettera a).
6. I limiti di cui al comma 5 non operano quando il Consiglio superiore della magistratura, con la deliberazione di conferma nell’incarico, riconosca la sussistenza di specifiche esigenze di funzionalità relativamente:
a) alla procura della Repubblica presso la quale il vice procuratore onorario svolge i compiti di cui all’articolo 16 del decreto legislativo (a regime);
b) all’ufficio del giudice di pace al quale il giudice onorario di pace è addetto, nonché al tribunale ordinario nel cui circondario il predetto ufficio ha sede.
7. Le esigenze di funzionalità di cui al comma 6 sussistono esclusivamente quando ricorre almeno una delle condizioni di cui all’articolo 11, comma 1.

Art. 32
(Indennità spettante ai magistrati onorari in servizio)

1.Per la liquidazione delle indennità dovute ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, sino alla scadenza del quarto anno successivo alla medesima data, i criteri previsti dalle disposizioni di cui all’articolo 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374, per i giudici di pace,  dall’articolo 4 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273, per i giudici onorari di tribunale e per i vice procuratori onorari.
2. Dalla scadenza del termine di cui al comma 1, per la liquidazione delle indennità dovute ai magistrati onorari di cui al medesimo comma si applicano le disposizioni del Capo IX.
3. In conseguenza di quanto disposto dai commi 1 e 2, la disposizione di cui all’articolo 1, comma 3, secondo periodo, si applica ai magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto a decorrere dalla scadenza del periodo di cui al comma 1.

Capo XII
Disposizioni transitorie e finali

Art. 33
(Disposizioni transitorie e abrogazioni)

1. Le disposizioni dei capi da I a IX si applicano ai magistrati onorari immessi nel servizio
onorario successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Sino alla scadenza del quarto anno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, le disposizioni dei capi da I a IX si applicano ai magistrati onorari in servizio alla medesima data per quanto non previsto dalle disposizioni del capo XI. Dalla scadenza del termine di cui al periodo precedente, ai magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto si applicano tutte le disposizioni del medesimo decreto.
2. Dell’organico dei giudici onorari di pace e dei vice procuratori onorari, determinato con il decreto di cui all’articolo 3, comma 1, primo periodo, entrano a far parte i magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro della giustizia di cui al predetto articolo. I predetti magistrati sono assegnati, con decreto del Ministro della giustizia, all’ufficio dove prestano servizio alla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del decreto di cui all’articolo 3, comma 1, secondo periodo, a condizione che quest’ultimo decreto preveda il corrispondente posto in pianta organica, anche con riferimento all’individuazione prevista dal comma 7 del predetto articolo. Quando con il decreto di cui all’articolo 3, comma 1, secondo periodo, è disposta la riduzione dell’organico di un ufficio, i magistrati onorari in servizio ai quali è stato conferito l’incarico da minor tempo che risultino in soprannumero sono riassegnati ad altro analogo ufficio dello stesso distretto.
3. Le disposizioni dell’articolo 27 si applicano ai procedimenti civili contenziosi, di volontaria giurisdizione e di espropriazione forzata introdotti a decorrere dal 30 ottobre 2021.
4. Le disposizioni dell’articolo 28 si applicano ai procedimenti in materia tavolare introdotti a decorrere dal sesto mese successivo all’entrata in vigore del presente decreto.
5. Le disposizioni dell’articolo 29 si applicano ai procedimenti penali per notizie di reato acquisite o ricevute a decorrere dal 30 ottobre 2021.
6. A decorrere dalla data del 30 ottobre 2021 ai procedimenti civili contenziosi, di volontaria giurisdizione e di espropriazione forzata introdotti dinanzi al giudice di pace a norma dell’articolo 27 si applicano le disposizioni, anche regolamentari, in materia di processo civile telematico per i procedimenti di competenza del tribunale vigenti alla medesima data.
7. Ai fini del computo di cui all’articolo 4, comma 2, lettera e) si considera anche lo svolgimento di funzioni giudiziarie onorarie in epoca anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche ai fini del computo di cui all’articolo 18, comma 2.
8. Il Consiglio superiore della magistratura adotta la delibera di cui all’articolo 6, comma 1, entro sei mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del decreto del Ministro della giustizia di cui all’articolo 3, comma 1, secondo periodo.
9. L’incarico dei magistrati onorari nominati successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo 31 maggio 2016, n. 92 e prima della entrata in vigore del presente decreto ha durata quadriennale con decorrenza dalla nomina. In ogni caso la nomina di magistrati onorari a norma del periodo precedente può aver luogo esclusivamente nei limiti di cento nuovi giudici onorari di pace con funzioni di giudici onorari di tribunale e di cento nuovi vice procuratori onorari. La nomina e il tirocinio dei magistrati onorari di cui al presente comma sono regolati dalle disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto.
10. Fermo quanto disposto dall’articolo 6 della legge 28 aprile 2016, n. 57, dalla data di entrata in vigore del presente decreto i giudici di pace e i giudici onorari di tribunale in servizio a tale data possono essere destinati in supplenza o in applicazione, anche parziale, in un ufficio del giudice di pace del circondario dove prestano servizio, ove ricorrano presupposti di cui al precedente articolo 14 e con le modalità indicate nella stessa disposizione.
11. In attesa dell’adozione del decreto del Ministro della giustizia di cui all’articolo 3, comma 1, secondo periodo, entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto il Consiglio superiore della magistratura adotta per l’anno 2017 la delibera di cui all’articolo 6, comma 1, individuando, nei limiti delle risorse disponibili, i posti da pubblicare, sulla base delle piante organiche degli uffici del giudice di pace e delle ripartizioni numeriche per ufficio dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari.
12. I procedimenti disciplinari pendenti nei confronti di magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad essere regolati dalle disposizioni vigenti prima della predetta data.
13. Fermo quanto disposto dal comma 12, non possono essere promosse nuove azioni disciplinari a carico di magistrati onorari già in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto per fatti commessi prima della medesima data; in relazione ai predetti fatti si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21, commi da 3 a 10.

Art. 34
(Abrogazioni)

1. L’articolo 245 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 è abrogato.
2. A decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto sono abrogati:
a) gli articoli 42-ter, 42-quater, 42.quinquies, 42-sexies, 42-septies, 43-bis, 71, 71-bis, 72 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12;
b) gli articoli 3, 4, 4-bis,, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 10-bis, 10-ter e 15 della legge 21 novembre 1991, n. 374.
3. Gli articoli 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374, 4 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273 e 64 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 sono abrogati a decorrere dalla scadenza del quarto anno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Art. 35
(Monitoraggio)

1. Il Ministro della giustizia provvede annualmente al monitoraggio dello stato di attuazione delle disposizioni del presente decreto, con particolare riferimento agli effetti prodotti e ai risultati conseguiti. I criteri di monitoraggio e i dati rilevanti sono stabiliti dal Ministro della giustizia, acquisito il parere del Consiglio superiore della magistratura.
2. Ai fini del comma 1, il Ministro della giustizia sottopone, in particolare, a monitoraggio i seguenti dati:
a) il numero dei procedimenti pendenti, sopravvenuti e definiti presso gli uffici del giudice di pace, distinti per settore civile e penale e, all’interno del medesimo settore, per materie;
b) la durata media dei procedimenti di cui alla lettera a), distintamente rilevata con riguardo al settore e alle materie;
c) il numero dei procedimenti pendenti, sopravvenuti e definiti presso i tribunali ordinari, distinti per settore civile e penale e, all’interno del medesimo settore, per materie;
d) la durata media dei procedimenti di cui alla lettera c), distintamente rilevata con riguardo al settore e alle materie;
e) il numero dei tribunali ordinari nei quali è stata disposta l’assegnazione della trattazione di procedimenti ai giudici onorari di pace a norma dell’articolo 11, con specifica rilevazione della condizione di cui al comma 1 del predetto articolo posta a fondamento del provvedimento di assegnazione;
f) lo stato delle spese di giustizia relative alla magistratura onoraria, distinguendo tra componente fissa e variabile dell’indennità;
g) il numero dei magistrati onorari confermati nell’incarico e di quelli revocati.
3. Per ciascun ufficio del giudice di pace mantenuto a norma dell’articolo 3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 è sottoposto a verifica, nell’ambito dell’attività di monitoraggio di cui al presente articolo, il livello di efficienza nell’erogazione del servizio giustizia in relazione ai dati medi nazionali. Fermo quanto previsto dall’articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, qualora il livello di efficienza risulti insufficiente il relativo ufficio viene soppresso con le modalità previste dal comma 3 del  predetto articolo 3. I giudici onorari in servizio presso l’ufficio soppresso sono riassegnati, con le modalità di cui all’articolo 33, comma 2, ad altro ufficio dello stesso circondario.
4. L’attività di monitoraggio di cui al presente articolo è, in ogni caso, svolta avendo particolare riguardo alla piena compatibilità tra lo stato di attuazione delle disposizioni del presente decreto e i livelli minimi di regolazione previsti dalla normativa europea.
5. Entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministro della giustizia trasmette alle Camere e al Consiglio superiore della magistratura una relazione concernente gli esiti dell’attività di monitoraggio svolta a norma del presente articolo.

Art. 36
(Disposizioni finanziarie e finali)

1. Per l’attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo si provvede nel limite delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
2. Al giudice onorario di pace assegnato nell’ufficio per il processo ai sensi dell’articolo 10 ovvero applicato ad altro ufficio del giudice di pace a norma dell’articolo 14 non è dovuta alcuna indennità di missione o di trasferimento, dovendosi intendere per sede di servizio il circondario del tribunale.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

Dlgs RIFORMA GIUDICI DI PACE

***

LEGGE 28 aprile 2016, n. 57

Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace. (16G00069)

(GU n. 99 del 29-4-2016)

Vigente al: 14-5-2016

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga

la seguente legge:

Art. 1
Contenuto della delega

1. Il Governo e’ delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, con l’osservanza dei principi e dei criteri direttivi di cui all’articolo 2, uno o piu’ decreti legislativi diretti a:

a) prevedere un’unica figura di giudice onorario, inserito in un solo ufficio giudiziario;

b) prevedere la figura del magistrato requirente onorario, inserito nell’ufficio della procura della Repubblica;

c) disciplinare i requisiti e le modalita’ di accesso alla magistratura onoraria, il procedimento di nomina ed il tirocinio;

d) operare la ricognizione e il riordino della disciplina relativa alle incompatibilita’ all’esercizio delle funzioni di magistrato onorario;

e) disciplinare le modalita’ di impiego dei magistrati onorari all’interno del tribunale e della procura della Repubblica;

f) disciplinare il procedimento di conferma del magistrato onorario e la durata massima dell’incarico;

g) regolamentare il procedimento di trasferimento ad altro ufficio;

h) individuare i doveri e i casi di astensione del magistrato onorario;

i) regolamentare i casi di decadenza dall’incarico, revoca e dispensa dal servizio;

l) regolamentare la responsabilita’ disciplinare e quindi individuare le fattispecie di illecito disciplinare, le relative sanzioni e la procedura per la loro applicazione;

m) prevedere e regolamentare il potere del presidente del tribunale di coordinare i giudici onorari;

n) prevedere i criteri di liquidazione dell’indennita’;

o) operare la ricognizione e il riordino della disciplina in materia di formazione professionale;

p) ampliare, nel settore penale, la competenza dell’ufficio del giudice di pace, nonche’ ampliare, nel settore civile, la competenza del medesimo ufficio, per materia e per valore, ed estendere, per le cause il cui valore non ecceda euro 2.500, i casi di decisione secondo equita’;

q) prevedere una sezione autonoma del Consiglio giudiziario con la partecipazione di magistrati onorari elettivi;

r) prevedere il regime transitorio per i magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui al presente comma;

s) prevedere specifiche norme di coordinamento delle nuove disposizioni con le altre disposizioni di legge e per l’abrogazione delle norme divenute incompatibili.

Art. 2
Principi e criteri direttivi

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) superare la distinzione tra giudici onorari di tribunale e giudici di pace, denominandoli «giudici onorari di pace» e facendoli confluire tutti nell’ufficio del giudice di pace, salvo quanto previsto dal comma 5;

b) prevedere che il Ministro della giustizia stabilisca la dotazione organica dei giudici onorari di pace e conseguentemente di ciascun ufficio del giudice di pace.

2. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere che il magistrato requirente onorario sia inserito in un’articolazione denominata «ufficio dei vice procuratori onorari», costituita presso l’ufficio della procura della Repubblica presso il tribunale ordinario;

b) prevedere che il Ministro della giustizia stabilisca la dotazione organica dei vice procuratori onorari e li ripartisca tra le procure della Repubblica, tenendo conto anche della pianta organica dei magistrati professionali.

3. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) disciplinare i requisiti e le modalita’ di accesso alla magistratura onoraria, prevedendo, tra l’altro, i requisiti:

1) della cittadinanza italiana;

2) del possesso dei diritti civili e politici;

3) di non aver riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzione e di non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza, salvi gli effetti della riabilitazione;

4) della onorabilita’, anche con riferimento alle sanzioni disciplinari eventualmente riportate;

5) della idoneita’ fisica e psichica;

6) dell’eta’ non inferiore a ventisette anni e non superiore a sessanta anni;

7) della professionalita’;

8) dell’aver conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito di corso universitario di durata non inferiore a quattro anni;

b) prevedere i titoli preferenziali per la nomina a magistrato onorario, in particolare a favore:

1) di coloro che hanno esercitato funzioni giudiziarie a titolo onorario;

2) di coloro che svolgono o hanno svolto la professione di avvocato;

3) di coloro che svolgono o hanno svolto la professione di notaio;

4) di coloro che insegnano o hanno insegnato materie giuridiche presso le universita’;

c) prevedere che a parita’ di titolo preferenziale abbia precedenza chi ha la piu’ elevata anzianita’ professionale e che, in caso di ulteriore parita’, abbia la precedenza chi ha minore eta’ anagrafica;

d) prevedere che la nomina a magistrato onorario sia preclusa per i soggetti che, pur essendo in possesso dei requisiti previsti, risultano collocati in quiescenza;

e) attribuire alla sezione autonoma del Consiglio giudiziario, di cui alla lettera q) del comma 1 dell’articolo 1, la competenza ad emettere il bando del concorso per titoli per l’accesso alla magistratura onoraria, ad istruire e valutare, previa acquisizione del parere dell’organo istituzionale al quale l’istante risulti eventualmente iscritto, le domande e, all’esito, a trasmettere al Consiglio superiore della magistratura le proposte di ammissione al tirocinio sulle quali delibera il Consiglio superiore medesimo;

f) disciplinare la durata e le modalita’ di svolgimento del tirocinio presso un magistrato professionale affidatario, stabilendo che nel corso dello stesso non sia dovuta alcuna forma di indennita’ e che, all’esito, la sezione autonoma del Consiglio giudiziario, di cui alla lettera q) del comma 1 dell’articolo 1, formuli un giudizio di idoneita’ e proponga una graduatoria degli idonei per la nomina a magistrati onorari;

g) prevedere che la nomina del magistrato onorario sia di competenza del Ministro della giustizia, che provvede in conformita’ alla deliberazione del Consiglio superiore della magistratura sull’idoneita’ ad assumere le funzioni giudiziarie onorarie.

4. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera d), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere che non possano esercitare le funzioni di magistrato onorario:

1) i membri del Parlamento nazionale e i membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, i membri del Governo e quelli delle giunte degli enti territoriali, nonche’ i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali;

2) gli ecclesiastici e i ministri di qualunque confessione religiosa;

3) coloro che ricoprono o che hanno ricoperto, nei tre anni precedenti alla domanda, incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici o nelle associazioni sindacali maggiormente rappresentative;

4) coloro che ricoprono la carica di difensore civico;

5) coloro che svolgono abitualmente attivita’ professionale per conto di imprese di assicurazione o bancarie, ovvero per istituti o societa’ di intermediazione finanziaria, oppure hanno il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado che svolgono abitualmente tale attivita’ nel circondario in cui il giudice di pace esercita le funzioni giudiziarie;

b) prevedere che gli avvocati non possano esercitare le funzioni di magistrato onorario nel circondario del tribunale nel quale esercitano la professione forense, ovvero nel quale esercitano la professione forense i loro associati di studio, i membri dell’associazione professionale, i soci della societa’ tra professionisti, il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado; prevedere che gli avvocati che esercitano la propria attivita’ professionale nell’ambito di societa’ o associazioni tra professionisti non possano esercitare le funzioni di magistrato onorario nel circondario del tribunale nel quale la societa’ o l’associazione forniscono i propri servizi;
prevedere che non costituisca causa di incompatibilita’ l’esercizio del patrocinio davanti al tribunale per i minorenni, al tribunale penale militare, ai giudici amministrativi e contabili, nonche’ davanti alle commissioni tributarie;

c) prevedere che gli avvocati che svolgono le funzioni di magistrato onorario non possano esercitare la professione forense presso l’ufficio giudiziario al quale appartengono e non possano rappresentare, assistere o difendere le parti di procedimenti svolti davanti al medesimo ufficio, nei successivi gradi di giudizio;
prevedere che il divieto si applichi anche agli associati di studio, ai membri dell’associazione professionale e ai soci della societa’ tra professionisti, al coniuge, ai conviventi, ai parenti entro il secondo grado e agli affini entro il primo grado;

d) prevedere che i magistrati onorari che hanno tra loro vincoli di parentela fino al secondo grado o di affinita’ fino al primo grado, di coniugio o di convivenza non possano essere nominati presso lo stesso ufficio giudiziario;

e) prevedere che il magistrato onorario non possa ricevere, assumere o mantenere incarichi dall’autorita’ giudiziaria nell’ambito dei procedimenti che si svolgono davanti agli uffici giudiziari compresi nel circondario presso il quale esercita le funzioni giudiziarie.

5. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera e), con riferimento alle modalita’ di impiego dei magistrati onorari all’interno del tribunale, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) individuare le modalita’ con cui il presidente del tribunale provvede all’inserimento dei giudici onorari di pace nell’ufficio per il processo costituito presso il tribunale ordinario, per lo svolgimento dei seguenti compiti:

1) coadiuvare il giudice professionale e, quindi, compiere tutti gli atti preparatori, necessari o utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di quest’ultimo;

2) svolgere le attivita’ e adottare i provvedimenti che al giudice onorario di pace possono essere delegati dal giudice professionale tra quelli individuati in attuazione della delega di cui alla presente legge, in considerazione della natura degli interessi coinvolti e della semplicita’ delle questioni che normalmente devono essere risolte; prevedere che il giudice professionale stabilisca le direttive generali cui il giudice onorario di pace deve attenersi nell’espletamento dei compiti delegati e che, quando questi non ritiene ricorrenti nel caso concreto le condizioni per provvedere in conformita’ alle direttive ricevute, possa chiedere che l’attivita’ o il provvedimento siano compiuti dal giudice professionale titolare del procedimento;
3) prevedere che i provvedimenti che definiscono i procedimenti non possano essere delegati dal giudice professionale, salvo quelli specificamente individuati in considerazione della loro semplicita’;

b) prevedere i casi tassativi, eccezionali e contingenti in cui, in ragione della significativa scopertura dei posti di magistrato ordinario previsti dalla pianta organica del tribunale ordinario e del numero dei procedimenti assegnati ai magistrati ordinari ovvero del numero di procedimenti rispetto ai quali e’ stato superato il termine ragionevole di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, e’ consentito al presidente del tribunale di procedere all’applicazione non stabile del giudice onorario di pace, che abbia svolto i primi due anni dell’incarico, quale componente del collegio giudicante civile e penale; prevedere che in ogni caso il giudice onorario di pace non possa essere applicato quale componente del collegio giudicante delle sezioni specializzate. Dall’attuazione delle disposizioni della presente lettera non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;

c) prevedere i casi tassativi in cui il giudice onorario di pace, che abbia svolto i primi due anni dell’incarico, puo’ essere applicato per la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale ordinario; prevedere che in ogni caso il giudice onorario di pace non possa essere applicato per la trattazione dei procedimenti, ovvero per l’esercizio delle funzioni, indicati nel terzo comma dell’articolo 43-bis dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, nonche’ per la trattazione dei procedimenti in materia di rapporti di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie.

6. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera e), con riferimento alle modalita’ di impiego dei magistrati onorari all’interno della procura della Repubblica, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) costituire presso l’ufficio della procura della Repubblica una struttura organizzativa mediante l’impiego di vice procuratori onorari, del personale di cancelleria e di coloro che svolgono il tirocinio formativo presso il predetto ufficio ai sensi dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, e successive modificazioni, e dell’articolo 37, commi 4 e 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;

b) prevedere che ai vice procuratori onorari inseriti, con provvedimento del procuratore della Repubblica, nella struttura organizzativa di cui alla lettera a) possano essere assegnati i seguenti compiti:

1) coadiuvare il magistrato professionale e, quindi, compiere tutti gli atti preparatori, necessari o utili per lo svolgimento da parte di quest’ultimo delle proprie funzioni;

2) svolgere le attivita’ e adottare i provvedimenti che, in considerazione della loro semplicita’ e della non elevata pena edittale massima prevista per il reato per cui si procede, possono essere delegati ai vice procuratori onorari; di regola non possono essere delegati, salvo tipologie di reati da individuare specificamente, anche in considerazione della modesta offensivita’ degli stessi, la richiesta di archiviazione, la determinazione relativa all’applicazione della pena su richiesta e i provvedimenti di esercizio dell’azione penale; prevedere che il magistrato professionale stabilisca le direttive generali cui il vice procuratore onorario deve attenersi nell’espletamento dei compiti delegati e che quest’ultimo, quando non ritiene ricorrenti nel caso concreto le condizioni per provvedere in conformita’ alle direttive ricevute, possa chiedere che l’attivita’ o il provvedimento siano compiuti dal magistrato professionale titolare del procedimento.

7. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera f), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) attribuire all’incarico di magistrato onorario natura imprescindibilmente temporanea e disciplinarne la durata massima per un periodo non superiore a quattro anni;

b) prevedere che alla scadenza del periodo di cui alla lettera a) il magistrato onorario possa essere confermato nell’incarico per un altro quadriennio in caso di accertata idoneita’ a svolgere le funzioni sulla base dei criteri individuati nell’esercizio della delega di cui alla presente legge, e sempre che non abbia riportato piu’ sanzioni disciplinari o la sanzione disciplinare della sospensione; prevedere che i criteri per l’accertamento dell’idoneita’ a svolgere le funzioni debbano comunque tener conto della capacita’, della produttivita’, della diligenza e dell’impegno, sulla base dei dati statistici relativi all’attivita’ svolta, dell’esame a campione dei provvedimenti e del parere del capo dell’ufficio giudiziario presso il quale il magistrato onorario presta servizio, nonche’ della relazione presentata da quest’ultimo;

c) prevedere che la conferma di cui alla lettera b) sia disposta con decreto del Ministro della giustizia, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, sulla base del giudizio di idoneita’ formulato dalla sezione autonoma del Consiglio giudiziario, di cui alla lettera q) del comma 1 dell’articolo 1, dopo aver acquisito i pareri dei presidenti di tribunale o dei procuratori della Repubblica, nonche’ dei consigli dell’ordine degli avvocati nei cui circondari il magistrato onorario ha esercitato le sue funzioni;

d) prevedere, in ogni caso, che la durata dell’incarico di magistrato onorario non possa superare gli otto anni complessivi e che nel computo siano inclusi gli anni comunque svolti quale magistrato onorario nel corso dell’intera attivita’ professionale;

e) prevedere che i giudici onorari di pace, nel corso dei primi due anni dell’incarico, possano svolgere esclusivamente i compiti inerenti all’ufficio per il processo;

f) disciplinare le conseguenze della mancata conferma, prevedendo in particolare che la stessa precluda la possibilita’ di proporre successive domande di nomina quale magistrato onorario;

g) prevedere che ai magistrati onorari confermati per due quadrienni sia riconosciuto un titolo di preferenza a parita’ di merito, a norma dell’articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, nei concorsi indetti dalle amministrazioni dello Stato;

h) prevedere che in ogni caso l’incarico cessi al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta’.

8. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera g), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) regolamentare la procedura di trasferimento su domanda dell’interessato;

b) disciplinare i casi di trasferimento d’ufficio del magistrato onorario ad altro ufficio giudiziario della medesima tipologia per esigenze organizzative oggettive dei tribunali, degli uffici del giudice di pace e delle procure della Repubblica.

9. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera h), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere che il magistrato onorario sia tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari;
b) prevedere che a tutti i magistrati onorari si applichi il regime di astensione previsto dall’articolo 70 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98.

10. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera i), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere che a tutti i magistrati onorari si applichi la disciplina della decadenza e della dispensa dal servizio, prevista dall’articolo 9 della legge 21 novembre 1991, n. 374, e successive modificazioni;

b) prevedere i casi per la revoca dell’incarico al magistrato onorario che non e’ in grado di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico, in particolare quando non raggiunge gli obiettivi prestabiliti dal presidente del tribunale o dal procuratore della Repubblica;

c) prevedere, nei casi indicati dalle lettere a) e b), con esclusione delle ipotesi di dimissioni volontarie, che il presidente della corte di appello proponga alla sezione autonoma del Consiglio giudiziario, di cui alla lettera q) del comma 1 dell’articolo 1, la dichiarazione di decadenza, la dispensa o la revoca. La sezione, sentito l’interessato e verificata la fondatezza della proposta, trasmette gli atti al Consiglio superiore della magistratura affinche’ provveda sulla dichiarazione di decadenza, sulla dispensa o sulla revoca.

11. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera l), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) individuare le fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei magistrati onorari, anche tenendo conto delle disposizioni relative agli illeciti disciplinari commessi dai magistrati professionali;
b) prevedere le sanzioni disciplinari dell’ammonimento, della censura, della sospensione dal servizio da tre a sei mesi e della revoca dell’incarico; prevedere altresi’ i casi nei quali, quando e’ inflitta la sanzione della sospensione dal servizio, puo’ essere disposto il trasferimento del magistrato onorario ad altra sede;
prevedere, infine, gli effetti delle sanzioni disciplinari ai fini della conferma nell’incarico;

c) prevedere, nei casi indicati dalla lettera a), che il presidente della corte di appello proponga alla sezione autonoma del Consiglio giudiziario, di cui alla lettera q) del comma 1 dell’articolo 1, una delle sanzioni disciplinari di cui alla lettera b) del presente comma e, ove ne ricorrano i presupposti, il trasferimento del magistrato onorario ad altra sede. La sezione, sentito l’interessato e verificata la fondatezza della proposta, trasmette gli atti al Consiglio superiore della magistratura affinche’ provveda sull’ammonimento, sulla censura, sulla sospensione dal servizio, sul trasferimento ad altra sede o sulla revoca;

d) disciplinare il procedimento per l’applicazione delle sanzioni disciplinari, tenendo conto dei principi previsti dall’articolo 9, comma 4, della legge 21 novembre 1991, n. 374.

12. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera m), il Governo disciplina il coordinamento dei giudici onorari di pace, attenendosi ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere che l’ufficio del giudice di pace sia coordinato dal presidente del tribunale, il quale provvede a tutti i compiti di gestione del personale di magistratura ed amministrativo;

b) prevedere che il presidente del tribunale provveda a formulare al presidente della corte di appello la proposta della tabella di organizzazione dell’ufficio del giudice di pace;

c) prevedere che gli affari siano assegnati sulla base di criteri stabiliti dal presidente del tribunale ai sensi della lettera b) e mediante il ricorso a procedure automatiche;

d) prevedere che il presidente del tribunale nell’espletamento dei compiti di cui alle lettere a), b) e c) possa avvalersi dell’ausilio di uno o piu’ giudici professionali.

13. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera n), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere che l’indennita’ dei magistrati onorari si compone di una parte fissa e di una parte variabile;

b) prevedere l’attribuzione ai giudici onorari di pace, per lo svolgimento dei compiti di cui al comma 5, lettera a), numero 1), di una parte fissa dell’indennita’ in misura inferiore a quella prevista per l’esercizio di funzioni giurisdizionali;

c) prevedere l’attribuzione ai vice procuratori onorari, per lo svolgimento dei compiti di cui al comma 6, lettera b), numero 1), di una parte fissa dell’indennita’ in misura inferiore a quella prevista per le funzioni esercitate ai sensi del comma 6, lettera b), numero 2);

d) prevedere che quando il magistrato onorario svolge piu’ compiti e funzioni tra quelli previsti alle lettere b) e c) sia corrisposta la parte fissa dell’indennita’ riconosciuta per le funzioni o i compiti svolti in via prevalente;

e) prevedere che in favore dei magistrati onorari che raggiungono gli obiettivi fissati a norma della lettera f) deve essere corrisposta la parte variabile dell’indennita’ in misura non inferiore al 15 per cento e non superiore al 50 per cento della parte fissa dovuta a norma delle lettere b) e c), anche in relazione al grado di raggiungimento degli obiettivi;

f) prevedere che il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica indicano, secondo criteri obiettivi e predeterminati fissati in via generale dal Consiglio superiore della magistratura, in un apposito provvedimento, gli obiettivi da raggiungere nell’anno solare e lo comunicano alla sezione autonoma del Consiglio giudiziario, di cui alla lettera q) del comma 1 dell’articolo 1;

g) prevedere che, al termine dell’anno, il presidente del tribunale e il procuratore della Repubblica, verificato il raggiungimento degli obiettivi, adottano uno specifico provvedimento per la liquidazione della parte variabile dell’indennita’, che comunicano alla sezione autonoma del Consiglio giudiziario, di cui alla lettera q) del comma 1 dell’articolo 1;

h) prevedere che la dotazione organica dei magistrati onorari, i compiti e le attivita’ agli stessi demandati, gli obiettivi stabiliti a norma della lettera f) e i criteri di liquidazione delle indennita’ siano stabiliti in modo da assicurare la compatibilita’ dell’incarico onorario con lo svolgimento di altre attivita’ lavorative;

i) prevedere che gli obiettivi di cui alle lettere f), g) e h)
sono individuati tenendo conto della media di produttivita’ dei magistrati dell’ufficio o della sezione;

l) individuare e regolare un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell’incarico, senza oneri per la finanza pubblica, prevedendo l’acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull’indennita’.

14. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera o), il Governo disciplina la formazione dei magistrati onorari, attenendosi ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere che i giudici onorari di pace partecipino alle riunioni trimestrali organizzate dal presidente del tribunale o da un giudice professionale da lui delegato, per l’esame delle questioni giuridiche piu’ rilevanti di cui abbiano curato la trattazione, per la discussione delle soluzioni adottate e per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi innovative, e che alle predette riunioni partecipino anche i giudici professionali;

b) prevedere che i vice procuratori onorari partecipino alle riunioni trimestrali organizzate dal procuratore della Repubblica o da un magistrato professionale da lui delegato, per l’esame delle questioni giuridiche piu’ rilevanti di cui abbiano curato la trattazione, per la discussione delle soluzioni adottate e per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi innovative, e che alle predette riunioni partecipino anche i magistrati professionali;

c) prevedere che i magistrati onorari partecipino ai corsi di formazione decentrata organizzati con cadenza almeno semestrale, a loro specificamente dedicati, secondo programmi indicati dalla Scuola superiore della magistratura e che la partecipazione ai suddetti corsi sia utilmente valutata ai fini dell’adempimento, da parte del magistrato onorario che svolga altre attivita’ lavorative, degli obblighi di formazione e aggiornamento professionale eventualmente prescritti dalla normativa di settore ovvero dai differenti ordinamenti professionali;

d) prevedere che la partecipazione alle riunioni trimestrali e alle iniziative di formazione sia obbligatoria e che la mancata partecipazione senza giustificato motivo sia valutata negativamente ai fini della conferma nell’incarico.

15. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera p), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi, in particolare estendendo, per le cause il cui valore non ecceda euro 2.500, i casi di decisione secondo equita’ ed attribuendo alla competenza dell’ufficio del giudice di pace:

a) le cause e i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio degli edifici;

b) i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia successoria e di comunione, connotati da minore complessita’ quanto all’attivita’ istruttoria e decisoria;

c) le cause in materia di diritti reali e di comunione connotate da minore complessita’ quanto all’attivita’ istruttoria e decisoria;

d) le cause relative a beni mobili di valore non superiore ad euro 30.000;

e) le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti di valore non superiore ad euro 50.000;

f) altri procedimenti di volontaria giurisdizione connotati da minore complessita’ quanto all’attivita’ istruttoria e decisoria;

g) i procedimenti di espropriazione mobiliare presso il debitore e di espropriazione di cose del debitore che sono in possesso di terzi; il presidente del tribunale attribuisce ad uno o piu’ giudici professionali il compito di impartire specifiche direttive anche in merito alle prassi applicative e di vigilare sull’attivita’ dei giudici onorari di pace;

h) i procedimenti per i reati, consumati o tentati, previsti dagli articoli 612, primo e secondo comma, salvo che sussistano altre circostanze aggravanti, 626 e 651 del codice penale, nonche’ per le contravvenzioni previste dagli articoli 727 e 727-bis del codice penale e per quelle previste dall’articolo 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283.

16. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera q), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere, a modifica e integrazione di quanto stabilito dall’articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25, una sezione autonoma del Consiglio giudiziario, composta da magistrati e avvocati eletti dal medesimo Consiglio tra i suoi componenti e da magistrati onorari eletti dai magistrati onorari del distretto, competente ad esercitare le funzioni relative ai magistrati onorari, nonche’ ad esprimere pareri sui provvedimenti organizzativi adottati dal presidente del tribunale e dal procuratore della Repubblica;

b) prevedere il numero dei componenti eletti dal Consiglio giudiziario e di quelli eletti dai magistrati onorari in ragione delle dimensioni del distretto della corte di appello, secondo quanto previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25;

c) disciplinare le modalita’ di elezione dei magistrati onorari nella sezione autonoma del Consiglio giudiziario.

17. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera r), il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) regolare la durata dell’incarico dei magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, sulla base dei seguenti criteri:

1) prevedere che la conferma dei magistrati onorari di cui al presente comma sia disposta dal Ministro della giustizia, previa deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, sulla base del giudizio di idoneita’ formulato, secondo i criteri di cui al comma 7, lettera b), dalla sezione autonoma del Consiglio giudiziario, di cui alla lettera q) del comma 1 dell’articolo 1, dopo aver acquisito i pareri dei presidenti di tribunale o dei procuratori della Repubblica, nonche’ dei consigli dell’ordine degli avvocati nei cui circondari il magistrato onorario ha esercitato le sue funzioni;

2) prevedere che i magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1 possano essere confermati nell’incarico per quattro mandati ciascuno di durata quadriennale, prevedendo che nel corso del quarto mandato i giudici onorari possano svolgere i compiti inerenti all’ufficio per il processo e i vice procuratori onorari possano svolgere esclusivamente i compiti di cui al comma 6, lettera b), numero 1); prevedere che quando il Consiglio superiore della magistratura, in sede di deliberazione per la conferma dell’incarico, riconosca l’esistenza di specifiche esigenze di servizio relativamente all’ufficio per il quale la domanda di conferma e’ proposta, nel corso del quarto mandato il magistrato onorario possa essere destinato anche all’esercizio di funzioni giudiziarie.

Dall’attuazione del presente numero non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;

3) prevedere che quanto previsto al numero 2) del presente comma si applichi anche ai magistrati onorari che hanno compiuto il sessantacinquesimo anno di eta’ alla scadenza di tre quadrienni, i quali possono essere, a norma di quanto previsto dal predetto numero 2), confermati sino al raggiungimento del limite massimo di eta’ di cui al numero 4);

4) prevedere che, in ogni caso, l’incarico di magistrato onorario cessi con il raggiungimento del sessantottesimo anno di eta’;

b) individuare e regolamentare le funzioni e i compiti che possono essere svolti dai giudici onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, sulla base dei seguenti criteri:

1) prevedere che i giudici onorari di tribunale confluiscano nell’ufficio del giudice di pace, a decorrere dal quinto anno successivo alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1;

2) prevedere che il presidente del tribunale possa, fino alla scadenza del quarto anno successivo alla data di cui al numero 1), inserire nell’ufficio per il processo i giudici onorari di tribunale e, a domanda, i giudici di pace;

3) prevedere che, fino alla scadenza del quarto anno successivo alla data di cui al numero 1), il presidente del tribunale possa assegnare, anche fuori dei casi previsti dal comma 5, lettera b), e nel rispetto delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura, la trattazione di nuovi procedimenti civili e penali di competenza del tribunale esclusivamente ai giudici onorari di tribunale;

4) prevedere che il presidente del tribunale, fino alla scadenza del quarto anno successivo alla data di cui al numero 1), assegni la trattazione di nuovi procedimenti civili e penali di competenza dell’ufficio del giudice di pace esclusivamente ai giudici di pace in servizio; prevedere che la disposizione di cui al presente numero si applichi anche ai giudici di pace che hanno proposto domanda ai sensi del numero 2);

5) prevedere che i criteri previsti dalla legislazione vigente alla data di cui al numero 1) per la liquidazione delle indennita’ spettanti ai giudici di pace e ai giudici onorari di tribunale continuino ad applicarsi fino alla scadenza del quarto anno successivo alla medesima data;

c) prevedere che i criteri previsti dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1 per la liquidazione delle indennita’ spettanti ai vice procuratori onorari continuino ad applicarsi per i primi quattro anni dalla predetta data;

d) prevedere che i procedimenti disciplinari pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1 siano regolati dalle disposizioni vigenti alla predetta data;

e) prevedere che per i fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1 continuino ad applicarsi, se piu’ favorevoli, le disposizioni in materia di illeciti disciplinari vigenti alla predetta data.

18. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1 il Governo prevede le modalita’ mediante le quali il Ministero della giustizia provvede annualmente a individuare l’importo annuo di cui ogni tribunale ordinario e ogni procura della Repubblica presso il tribunale ordinario possano disporre ai fini della liquidazione delle indennita’ in favore dei magistrati onorari che prestano servizio presso i predetti uffici e presso gli uffici del giudice di pace compresi nel circondario del tribunale, nell’ambito delle dotazioni ordinarie di bilancio.

Art. 3
Procedure per l’esercizio della delega

1. Gli schemi dei decreti legislativi previsti dall’articolo 1 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e successivamente trasmessi al Consiglio superiore della magistratura per l’espressione del parere, da rendere entro trenta giorni. I medesimi schemi dei decreti legislativi sono contestualmente trasmessi alle Camere, perche’ su di essi sia espresso il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari entro il termine di trenta giorni dalla data della ricezione. Decorso il predetto termine i decreti sono emanati, anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti alla scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo e’ prorogato di sessanta giorni.

2. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, il Governo puo’ emanare disposizioni correttive e integrative nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi di cui alla presente legge e con la procedura di cui al comma 1.

Art. 4
Incompatibilita’ del giudice di pace

1. Non possono esercitare le funzioni di giudice di pace:

a) i membri del Parlamento nazionale e i membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, i membri del Governo e quelli delle giunte degli enti territoriali, nonche’ i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali;

b) gli ecclesiastici e i ministri di qualunque confessione religiosa;

c) coloro che ricoprono o che hanno ricoperto, nei tre anni precedenti alla domanda, incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici o nelle associazioni sindacali maggiormente rappresentative;

d) coloro che ricoprono la carica di difensore civico;

e) coloro che svolgono abitualmente attivita’ professionale per conto di imprese di assicurazione o bancarie, ovvero per istituti o societa’ di intermediazione finanziaria, oppure hanno il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado che svolgono abitualmente tale attivita’ nel circondario in cui il giudice di pace esercita le funzioni giudiziarie.

2. Gli avvocati non possono esercitare le funzioni di giudice di pace nel circondario del tribunale nel quale esercitano la professione forense, ovvero nel quale esercitano la professione forense i loro associati di studio, i membri dell’associazione professionale, i soci della societa’ tra professionisti, il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado. Gli avvocati che esercitano la propria attivita’ professionale nell’ambito di societa’ o associazioni tra professionisti non possono esercitare le funzioni di giudice di pace nel circondario del tribunale nel quale la societa’ o l’associazione forniscono i propri servizi. Non costituisce causa di incompatibilita’ l’esercizio del patrocinio davanti al tribunale per i minorenni, al tribunale penale militare, ai giudici amministrativi e contabili, nonche’ davanti alle commissioni tributarie.

3. Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice di pace non possono esercitare la professione forense presso l’ufficio giudiziario al quale appartengono e non possono rappresentare, assistere o difendere le parti di procedimenti svolti davanti al medesimo ufficio, nei successivi gradi di giudizio. Il divieto si applica anche agli associati di studio, ai membri dell’associazione professionale e ai soci della societa’ tra professionisti, al coniuge, ai conviventi, ai parenti entro il secondo grado e agli affini entro il primo grado.

4. I giudici di pace che hanno tra loro vincoli di parentela fino al secondo grado o di affinita’ fino al primo grado, di coniugio o di convivenza non possono essere nominati presso lo stesso ufficio giudiziario.

5. Il giudice di pace non puo’ ricevere, assumere o mantenere incarichi dall’autorita’ giudiziaria nell’ambito dei procedimenti che si svolgono davanti agli uffici giudiziari compresi nel circondario presso il quale esercita le funzioni giudiziarie.

Art. 5
Coordinamento dell’ufficio del giudice di pace

1. L’ufficio del giudice di pace e’ coordinato dal presidente del tribunale, il quale provvede a tutti i compiti di gestione del personale di magistratura ed amministrativo.

2. Il presidente del tribunale provvede a formulare al presidente della corte di appello la proposta della tabella di organizzazione dell’ufficio del giudice di pace.

3. Gli affari sono assegnati sulla base di criteri stabiliti dal presidente del tribunale ai sensi del comma 2 e mediante il ricorso a procedure automatiche.

4. Il presidente del tribunale, nell’espletamento dei compiti di cui al presente articolo, puo’ avvalersi dell’ausilio di uno o piu’ giudici professionali.

Art. 6
Applicazione dei giudici di pace

1. Fermi i divieti di cui all’articolo 4, possono essere applicati ad altri uffici del giudice di pace, indipendentemente dall’integrale copertura del relativo organico, quando le esigenze di servizio in tali uffici sono imprescindibili e prevalenti, uno o piu’ giudici di pace in servizio presso gli uffici del medesimo distretto.

2. La scelta dei giudici di pace da applicare e’ operata secondo criteri obiettivi e predeterminati indicati, in via generale, con deliberazione del Consiglio superiore della magistratura.
L’applicazione e’ disposta con decreto motivato, sentito il consiglio giudiziario integrato a norma del comma 2 dell’articolo 4 della legge 21 novembre 1991, n. 374, dal presidente della corte di appello.
Copia del decreto e’ trasmessa al Consiglio superiore della magistratura e al Ministro della giustizia a norma dell’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916.

3. Il parere del consiglio giudiziario di cui al comma 2 e’ espresso, sentito previamente l’interessato, nel termine perentorio di dieci giorni dalla richiesta.

4. L’applicazione non puo’ superare la durata di un anno. Nei casi di necessita’ dell’ufficio al quale il giudice di pace e’ applicato puo’ essere rinnovata per un periodo non superiore ad un anno. In ogni caso, un’ulteriore applicazione non puo’ essere disposta se non siano decorsi due anni dalla fine del periodo precedente.

5. Le disposizioni del presente articolo cessano di avere efficacia decorsi due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

6. Per le finalita’ di cui ai commi precedenti e’ autorizzata la spesa di euro 100.550 per l’anno 2016, di euro 201.100 per l’anno 2017 e di euro 100.550 per l’anno 2018. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento per gli anni 2016, 2017 e 2018 del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia.
Art. 7
Formazione del giudice di pace, del giudice onorario di tribunale e del vice procuratore onorario

1. I giudici di pace e i giudici onorari di tribunale partecipano alle riunioni trimestrali organizzate dal presidente del tribunale o da un giudice professionale da lui delegato, per l’esame delle questioni giuridiche piu’ rilevanti di cui abbiano curato la trattazione, per la discussione delle soluzioni adottate e per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi innovative; alle predette riunioni partecipano anche i giudici professionali.

2. I vice procuratori onorari partecipano alle riunioni trimestrali organizzate dal procuratore della Repubblica o da un magistrato professionale da lui delegato, per l’esame delle questioni giuridiche piu’ rilevanti di cui abbiano curato la trattazione, per la discussione delle soluzioni adottate e per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi innovative; alle predette riunioni partecipano anche i magistrati professionali.

3. Sono organizzati corsi di formazione decentrata con cadenza almeno semestrale specificamente dedicati ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, secondo programmi indicati dalla Scuola superiore della magistratura.

4. La partecipazione alle riunioni trimestrali e alle iniziative di formazione e’ obbligatoria. La mancata partecipazione senza giustificato motivo alle suddette riunioni e iniziative di formazione e’ valutata negativamente ai fini della conferma nell’incarico.

Art. 8
Disposizioni per le regioni Trentino-Alto Adige/Südtirol e Valle d’Aosta/Vallee d’Aoste

1. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano alle regioni Trentino-Alto Adige/Südtirol e Valle d’Aosta/Vallee d’Aoste compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

2. Ulteriori disposizioni, dirette ad armonizzare la riforma della magistratura onoraria con la peculiarita’ degli ordinamenti regionali di cui al comma 1, sono adottate con norme di attuazione dei rispettivi statuti speciali.

3. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera p), il Governo adotta le disposizioni necessarie ad attribuire alla competenza dell’ufficio del giudice di pace i procedimenti in affari tavolari relativi a contratti ricevuti da notaio e connotati da minore complessita’.

Art. 9
Invarianza finanziaria

1. Dall’attuazione della presente legge e dei decreti legislativi da essa previsti non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e ad essa si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.

2. In considerazione della complessita’ della materia trattata, che attua il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria prescritto dall’articolo 245 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, e dell’impossibilita’ di procedere alla determinazione degli eventuali effetti finanziari, i decreti legislativi di attuazione della delega prevista dalla presente legge devono essere corredati di relazione tecnica che dia conto della neutralita’ finanziaria ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura, nonche’, per le norme di carattere previdenziale, delle ulteriori proiezioni finanziarie previste dall’articolo 17, comma 7, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Qualora uno o piu’ decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovano compensazione al proprio interno, i medesimi decreti legislativi sono emanati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addi’ 28 aprile 2016

MATTARELLA

Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri

Orlando, Ministro della giustizia

Visto, il Guardasigilli: Orlando
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CONVEGNO: AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO – 26 MAGGIO 2017

CONVEGNO: L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO

Luci e ombre di un istitutoad oltre dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 6/2004

Luci e ombre di un istituto ad oltre dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 6/2004
Luci e ombre di un istituto
ad oltre dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 6/2004

Best Western Park Hotel Continental – Via XIII Martiri, San Donà di Piave

26 MAGGIO 2017 – ore 15:00 – 19.00

  • La normativa in tema di ADS: cenni generali
  • I beneficiari: dall’infermità alla carenza di autonomia
  • ADS: ruolo, poteri, responsabilità – Modalità e buone prassi
  • Atti personalissimi, testamento, accettazione beneficiata, donazione
  • Rapporti tra giudice, amministrati, amministratore e famigliari

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100 POSTI COMPLESSIVI – 70 posti riservati agli iscritti al Calendario Formativo 2017 della Camera Avvocati di San Donà di Piave.

Per i restanti 30 posti, con contributo spese di 10 euro, iscrizioni via email all’indirizzo .camera[@]avvocati.venezia.it

Convegno 2017.05.26 San Donà

 

IL GAZZETTINO: GRAN LAVORO PER IL GIUDICE DI PACE

San Donà – la camera Avvocati: “Un servizio molto efficiente e prezioso per i cittadini”

GRAN LAVORO PER IL GIUDICE DI PACE

Nel 2016 le cause civili e penali trattate dall’ufficio sono aumentate del 15 per cento

SAN DONÀ. È aumentato di oltre il 15 per cento il carico di lavoro delle cause civili e penali trattate dal Giudice di Pace. Nel complesso le cause civili nel 2016 sono state 1385, in aumento rispetto alle 1183 nel 2015 e alle 1218 del 2014. Sono i dati resi noti dalla Camera avvocati di San Donà che fotografano l’efficienza con cui viene amministrata la giustizia per i Comuni di San Donà, Noventa, Fossalta, Torre di Mosto, Eraclea, Ceggia, Musile, Jesolo, Quarto d’ Altino, Meolo. «Si tratta di un servizio utile e apprezzato in termini di qualità – commenta il sindaco Andrea Cereser – la spesa è un sacrificio che i Comuni del Sandonatese hanno inteso sostenere perché è importante mantenere un presidio di giustizia di prossimità».

Nel corso di 12 mesi sono stati 91 i giorni dedicati alle udienze civili nella sede di viale Libertà, 20 a quelle penali, queste ultime svolte nella sala consigliare del municipio sandonatese. Sono stati 576 i decreti ingiuntivi, quasi tutti relativi al recupero di crediti, emessi nell’arco di 4 o 6 giorni; in piccolo calo rispetto ai 619 del 2015. «Un dato significativo quello sui tempi della giustizia – precisa il presidente della Camera avvocati Alberto Vigani – Portogruaro ha perso il Giudice di Pace e Dolo lo ha recuperato solo qualche giorno fa, la sede di Mestre è stata accorpata con Venezia. Questo significa che ad esempio ai cittadini di Marcon servono fino a 6 mesi per lo stesso provvedimento, perché emesso nella sede di Riva del Biasio a Venezia».

Sono state 203 in totale le “opposizioni a sanzioni amministrative”, per lo più ricorsi contro le multe, su 420 complessive esaminate nel 2016 (erano state 165 nel 2015). Ma ancora sono state 440 le sentenze civili, (340 nel 2015) fornendo «un segnale importante – sottolinea Vigani – perché si rafforza l’accelerazione nella trattazione dei procedimenti. Altro indice di come la giustizia è erogata con impegno efficiente poiché le decisioni sono pari a un terzo della cause pendenti in ambito civile trattate nell’anno».
In aumento anche le sentenze penali: 326 nello scorso anno (erano 190 nel 2014; 285 nel 2015) su un totale di 676 procedimenti trattati, relativi anche agli anni precedenti e 466 sopravvenuti nel solo 2016.

Il Gazzettino, 14 aprile 2017

Davide De Bortoli

Giudice di Pace