Essere Avvocato

La storia dell’avvocato Fulvio Croce

Un uomo anziano, con radi capelli bianchi, sale lentamente i gradini dell’ingresso del proprio ufficio. E’ minuto, vestito modestamente e per camminare si appoggia ad un esile bastone da passeggio. Nel suo pacato portamento, però, si nota una notevole sicurezza, una velata fierezza dello sguardo: è l’atteggiamento dell’Uomo che sa di aver fatto la scelta giusta e di aver compiuto il proprio dovere. 

Poche ore prima, in mezzo allo stupore generale, quel compassato e distinto professionista di una certa età ha deciso di mettere la propria vita, gli anni sereni che gli rimangono, nelle mani degli Italiani.

Ha deciso di aiutare, con tutte le proprie forze, alcune persone che lo disprezzano, che lo hanno minacciato apertamente di morte, che lo odiano e non lo vogliono neppure vedere.

Quelle persone sono dei terroristi, dei barbari assassini, chiamati a rispondere dei loro crimini dinnanzi ad un Tribunale della Repubblica: la Corte d’Assise di Torino.

Ma i barbari hanno deciso di impedire il loro processo e bloccare la macchina della Giustizia, utilizzando lo strumento più semplice: rifiutano l’assistenza dell’avvocato.

Senza difensore, il processo non si può celebrare.

Renato Curcio ed i suoi scherani lo sanno perfettamente, e così minacciano di morte gli avvocati d’ufficio che sono stati loro assegnati.

Niente difensori, niente giudizio.

Siamo nel 1977 ed a Torino si sta celebrando il primo processo al nucleo storico delle Brigate Rosse. 

L’Italia non immagina neppure cosa le riserva il futuro prossimo, quanti lutti questi tristi figuri la costringeranno a sopportare. 

Nel frattempo, l’attacco al cuore dello Stato è iniziato e gli artefici di questa violenta e sanguinaria aggressione hanno deciso di sfidare l’ordine democratico: vogliono fermare la giustizia.

Tra poco inizieranno a sparare ai giudici, ai carabinieri, ai giornalisti…

Intanto, provano a paralizzare il processo: non si trovano neppure i giudici popolari per completare il Collegio giudicante.

Come si può fare?

Lo Stato democratico si deve arrendere ai suoi violentatori?

Allora quell’uomo anziano, lasciando senza parole l’Italia Intera, si alza lentamente dal fondo dell’aula, appoggiato al suo fido bastone, e dice: “Sono pronto”.
È il Presidende dell’Ordine degli Avvocati di Torino.

È un civilista, ormai prossimo alla pensione.

Da tempo non  frequenta più le aule dove si celebrano i processi penali.

Potrebbe fingere di nulla, distogliere lo sguardo…

Ma quell’uomo a fatto un giuramento ed ha deciso che non può guardare da un’altra parte.

E così decide di assumere la difesa degli assassini, che continuano a minacciarlo, a sputarli addosso, ad urlargli dalle gabbie: “Sappiamo dove abiti!”.

È il 28 aprile 1977.

Quell’uomo si chiama Fulvio Croce.

Alle 15.00, puntuale come da ormai cinquant’anni, sta per entrare nel suo studio in Via Perrone, a Torino, assorto nei suoi pensieri, e non vede i vigliacchi che si nascondono nella penombra dell’androne.

Non sente il rumore secco del percussore che scatta.

Dall’oscurità una voce crudele lo chiama: “Avvocato!”.

Fulvio Croce si gira.

Per l’ultima volta…

Perché l’esempio dell’avvocato Fulvio Croce, assassinato il 27 aprile 1977 da vigliacca mano terrorista, non sia dimenticato.

Perché il giuramento che abbiamo fatto, di difendere sempre la Giustizia, l’Italia democratica ed i principi immortali su cui si fonda lo stato di diritto, non sia vano.

Perché possiamo ricordare sempre che il nostro non è un semplice mestiere, ma la missione cui furono chiamati Marco Tullio Cicerone, Piero Calamandrei, Fulvio Croce e molti altri, che la portarono a termine con lealtà, onestà e probità.

Perché siamo sempre fieri ed orgogliosi di voltarci a fronte alta verso chi ci chiama: “Avvocato!”.